Espandi menu
cerca
The Artist

Regia di Michel Hazanavicius vedi scheda film

Recensioni

L'autore

mc 5

mc 5

Iscritto dal 9 settembre 2006 Vai al suo profilo
  • Seguaci 119
  • Post 1
  • Recensioni 1059
  • Playlist 57
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su The Artist

di mc 5
10 stelle

Non possiedo ancora i dati degli incassi complessivi delle Festività di Natale e Capodanno, dunque è presto per un bilancio definitivo, ma ci sono considerazioni che si possono già formulare. Prima fra tutte quella che mi vede assai dubbioso su una precoce sentenza circa un presunto flop dei cinepanettoni. Nella settimana di Natale infatti, l'odioso film di Neri Parenti è al secondo posto e lo schifoso film di Pieraccioni occupa la quarta posizione. E allora ditemi voi come si fa parlare di flop. La sensazione è che ai quotidiani italiani faceva gioco poter fare un "simpatico pezzo di costume" sul tramonto del cinepanettone. Ma la realtà è a mio avviso molto meno positiva, nel senso che l'italiota medio televisivo anche quest'anno non si perde De Sica e Pieraccioni a Natale per niente al mondo. E scorrendo la stessa classifica del week end natalizio (fatta salva la soddisfazione per il buon piazzamento dell'ottimo Clooney) il dato che sorprende è la presenza (seppur all'ultimo posto della top ten) di questo mezzo capolavoro francese che è "The Artist". Ma prima di entrare nel merito, lasciatemi esprimere una critica ad una società di distribuzione (peraltro benemerita e da me apprezzatissima) che si chiama BIM. Cari amici della BIM, posto che avete per le mani un "signor" film di Natale, mi spiegate perchè ne avete fatto pervenire nelle sale un numero così risicato di copie? Io l'ho visto in una saletta di Modena che amo frequentare in quanto rara e felice sintesi di vecchia sala popolare e di cinema d'essai (si chiama "Sette Bi"). Ebbene il pubblico (numeroso) era deliziato ed entusiasta da tanto brio e fluida potenza espressiva. E' chiaro che questa pellicola sarebbe piaciuta al pubblico ed è altrettanto evidente che, nel magro e mesto panorama natalizio 2011, esso rappresentava (insieme al già citato Clooney) l'unica alternativa intelligente alle consuete strenne infiocchettate e trasudanti melassa (discorso a parte -che non farò anche perchè mi sono imposto di non vederlo- su un Sherlock Holmes trasformato in videogioco e circo di  effettacci poco speciali). E allora il mio istinto cinefilo mi suggerisce che se "The Artist" avesse potuto contare su una distribuzione più capillare di sicuro avrebbe fatto il botto. Sono, questi, quei meccanismi imperscrutabili che vanno a deprimere un mercato già di per sè soggetto ad una legge durissima. Anche se, volendo pensarle tutte, e a parziale giustificazione dei signori della BIM, posso anche ipotizzare che una distribuzione più potente implicasse uno sforzo che forse la società in questione non poteva permettersi, considerando che le sue dimensioni non sono quelle di una major. Il film è un poderoso assalto di delizia cui è difficile resistere. Premettendo però che non si tratta di pellicola grandissima, nel senso che la storia raccontata è assolutamente ordinaria, prevedibile e già vista centinaia di volte. Tuttavia il film assurge alla posizione di "piccolo capolavoro", tanto è vero che si parla con insistenza di una candidatura (o anche più d'una) agli Oscar, a mio avviso con discrete possibilità di vittoria. Dunque un film non unico nè originale, ma ugualmente strepitoso ed entusiasmante. Il motivo va individuato nella straordinaria operazione tenacemente perseguita e condotta dal regista e sceneggiatore francese Michel Hazanavicius. Mi riferisco all'idea formidabile di proporre una ricostruzione dell'epopea del cinema muto in piena epoca di fottuti occhialetti 3D (epitèto duro ma di cui mi assumo la responsabilità). Ripeto: i fatti narrati attengono al più ovvio repertorio del "muto", ma l'idea fantastica è quella di riproporre oggi, qui ed ora, quell'incredibile mondo a parte, fatto di divi acclamatissimi e di uno star system davvero speciale. Un universo che ci appare lontano anni luce, eppure ancora dotato di un fascino irresistibile, nel caso specifico dovuto anche alla geniale scelta da parte dell'autore-regista dell'aver voluto focalizzare il dramma intimo devastante di quegli attori (qui rappresentati in modo struggente dal divo George Valentin) che si trovarono inadeguati e dunque rigidamente isolati di fronte al passaggio epocale verso il cinema sonoro. Il nostro protagonista infatti rifiuta strenuamente ogni confronto col suddetto cambiamento tecnologico, opponendo dapprima sprezzante derisione e poi la rabbia della disperazione. La psicologia di questo divo avviato al declino è analizzata attraverso una scelta di regìa che non poteva essere migliore e che si avvale di una mimica e di una fisicità dei due attori protagonisti che è qualcosa di inimmaginabile per chi non ha visto il film. Complice peraltro una colonna sonora di altissima classe, opera del pianista Ludovic Bource che l'ha registrata a Bruxelles assieme alla prestigiosa Orchestra Filarmonica delle Fiandre. Davvero raro vedere due attori (soprattutto un immenso Dujardin) così generosi nel "donarsi" con ogni muscolo del proprio viso. E il pubblico questa generosità sconfinata la percepisce tutta, caricandosi di gioia e di partecipazione emotiva. Berenice Bejo è l'incontenibile Peppy Miller, questa giovane aspirante soubrette che entra nel rutilante mondo dello spettacolo grazie all'intervento protettivo del divo George Valentin, ma che poi finirà col superarlo e vederlo oltretutto umiliato in preda ad una depressione senza ritorno. La Bejo, che fra l'altro è compagna di vita del regista e che quasi nessuno di noi prima d'ora conosceva, è una rivelazione di grazia e di potenza espressiva: certi suoi atteggiamenti del viso che passano in pochi secondi dallo stupefatto al divertito sono (soprattutto nella parte iniziale) indimenticabili. Non ci sono parole poi per descrivere la superba performance di Jean Dujardin, nei panni dell'impagabile divo del muto che percepisce l'avvento del sonoro come un attacco alla propria dignità artistica. Dujardin è attore già molto noto in patria e con all'attivo un buon numero di film. Personalmente lo avevo scoperto un paio d'anni fa quando affiancò Jean Reno in una divertente commedia-action intitolata "Cash" che tutti stroncarono e che pare piacque solo a me. Già in quell'occasione Dujardin si rivelò fascinoso e piacione, ma nulla mi avrebbe fatto ipotizzare la strepitosa grinta da fuoriclasse che egli ha sfoderato in questo ultimo film. Il suo registro è dolente e ogni suo movimento intriso di malinconia nella seconda parte del film, quando assistiamo alla sua discesa agli inferi della depressione. Ma è nella prima parte che io l'ho acclamato senza riserve, quando dà carne e sangue ad un divo ridondante di compiacimento e di incontenibile vitalità. Un performer in pieno stato di grazia che non fa che elargire irresistibili sorrisi. Il regista, nel corso di un'intervista televisiva, ha spiegato di essere partito, nell'allestimento della messa in scena, proprio dai due attori principali, costruendo ogni scena come un abito confezionato su misura per i loro corpi ed i loro visi. La fisicità corporea che sopperisce alla mancanza della parola diventa infatti la cifra primaria che distingue l'intera pellicola, consapevole il regista di poter contare su due attori così fortemente coinvolti nella spirito di un "progetto". Ed ora solo qualche cenno al resto del cast, nel quale si annidano delle autentiche sorprese. Partiamo da due cammei piuttosto inattesi: un curioso Malcom Mc Dowell e un compìto autista cui presta il volto un anziano caratterista come James Cromwell. Poi troviamo una valente professionista come Penelope Ann Miller. E infine forse l'ultimo volto che ti aspetteresti di trovare in una produzione francese, quello del corpulento e famosissimo John Goodman, che qui dà vita con notevole verve ad un produttore degli studios, volutamente stereotipato. E a questo punto concedetemi una sincera dichiarazione d'affetto verso quello che -subito dopo Dujardin- è il vero divo della pellicola. Sto parlando di Uggie, il meraviglioso cagnolino che con la sua grazia e simpatia conquista definitivamente il pubblico. Un cagnolino di cui ci si innamora. Non ho dubbi che "Le idi di marzo" di Clooney sia il film più importante di queste ultime Festività, ma è altrettanto vero che quel film (così carico di amara consapevolezza) nulla ha a che vedere con lo spirito di queste Feste. In questo senso posso invece affermare che "The Artist" è il vero film di Natale e Capodanno. Una strenna che tutti dovreste regalarvi e regalare alle persone che vi sono care.
Voto: 10

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati