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Moonlighting

Regia di Jerzy Skolimowski vedi scheda film

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La recensione su Moonlighting

di alan smithee
8 stelle

Operai polacchi in trasferta londinese al servizio di un padrone-fantasma che vuole lucrare su manovalanza a buon patto, mentre la Polonia cambia volto a loro insaputa o quasi. Grande occasione per Irons,che dipinge un personaggio dolente ma furbo, in grado di gestire al meglio un disagio e problematiche latenti. Ottima regia del grande Skolimovski

Uno Skolimowsky che ci parla della classe operaia tanto cara a Ken Loach, ma con un tono più scanzonato, surreale, ironico e in fondo anche molto sarcastico, come a ribadire che le sventure e il lavoro sporco tocca sempre ai più sottomessi, ma anche paradossalmente che costoro sono nella posizione che ricoprono, solo perché non hanno la possibilità tecnica, intellettuale e maliziosa di ritagliarsi una posizione più privilegiata.

Un punto di vista originale, bizzarro, e di fatto totalmente opposto rispetto a quello serio, realista e militante del noto regista britannico, in cui il gran regista polacco indulge con malizia a sondare le ingenuità dei poveri e dei disinformati, restando tuttavia loro stessi il suo punto di riferimento e la parte sana da difendere contro le vicissitudini di un corso esistenziale che li sfrutta per fini completamente estranei al loro maggior benessere.

Quando ad inizio inverno 1981 un gruppo di muratori polacchi arriva in aereo a Londra per ristrutturare abusivamente la casa di un ricco imprenditore polacco, che approfitta dell'infinitesimale costo del lavoro del suo paese rispetto a quello britannico per ottenere un appoggio londinese di estremo confort a prezzi impensabili in quella capitale, gli stessi si muovono smarriti sotto la guida dell’unico fra di loro in grado di capire e farsi capire con l’inglese: il timido e prudente, ma anche scaltro Novak.

L’uomo diviene la guida e la mente di un gruppo in cui gli altri tre accettano di regredire allo stato di forza-lavoro senza particolari capacità razionali, se non quelle legate alle necessità fisiologiche e di sopravvivenza.

E mentre i lavori di demolizione fanno spazio a quelli di ricostruzione, mentre Novak deve affrontare le mille incognite legate da una parte alle proteste di condomini melliflui, falsi e ossessivamente intolleranti, che potrebbero anche chiamare la polizia e stanare i lavoratori irregolari compromettendo la loro missione ed i relativi lauti guadagni, le diffidenze dei cittadini nei confronti dello straniero, le spinte consumistiche dei suoi tre amici, il cui unico desiderio pare quello di comprarsi un televisore a colori e un orologio; e quant’altro.

Quello che ne emerge, è il ritratto di una umanità che vive di espedienti, di tranelli, sotterfugi e persino ruberie nei supermercati, per poi chiedere perdono in chiesa e continuare a truffare, ad essere truffati, e ad arrangiarsi a tirare avanti. Tutto ciò mentre in Polonia qualcosa di molto importante sta cambiando, i televisori lo stanno annunciando, ma solo Novak può e deve essere informato suoi fatti, per evitare che gli amici si spaventino, rallentino il ritmo di lavoro, compromettendo le laute ricompense.

Il colpo di stato di Jaruselski ha creato una cortina di incognite che da un giorno all’altro rende i polacchi esuli come loro dei cittadini senza patria, incerti ed impossibilitati a ricongiungersi con i propri cari.

Un gran bel film questo di Skolimovski, premiato con la Palma per la migliore sceneggiatura al Festival di Cannes 1982: schietto, malizioso e graffiante, forte di un personaggio principale che vive delle espressioni meravigliate tra il divertimento e lo stupore che sfiora addirittura e in certi impercettibili istanti l’orrore di essere preso con le mani nel sacco: tutte sfaccettature ed espressioni facciali rese magistralmente da un Jeremy Irons che abbiamo in seguito trovato così bravo nel capolavoro cronemberghiano Inseparabili.

Il suo Novak, uomo afflitto da sensi di colpa che non gli impediscono di tramare ed ordire sotterfugi, a volte in fin di bene, a volte per garantirsi un tornaconto, e soprattutto uomo solo, lontano dalla sua donna che rimane una figura bidimensionale ed in bianco e nero appesa ad un muro sbrecciato, è davvero lo stratega più imprevedibile, disarmante e scaltro che ci sia, sempre in mezzo come un ago della bilancia ad intermediare gli interessi della classe dirigente ed approfittatrice, e quella delle maestranze, a cui basta la promessa di un orologio a fine lavori per illuminare il volto di un sorriso e appagarli con un senso di sazietà che suscita un misto di tenerezza e di rabbia.

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