Regia di Roman Polanski vedi scheda film
Stiamo passeggiando in un parco quando in lontananza scorgiamo dei bambini. C’è però qualcosa che non va, infatti uno di loro ha appena inferto un colpo di bastone a un altro. Non badiamo poi tanto all’avvenimento perché subito dopo ci troviamo dentro una casa. D’ora in poi assisteremo a una totale degenerazione dell’animo umano.
Siamo a New York (che in realtà è Parigi) ma siamo anche in Grecia, la Grecia di Aristotele. Polanski in qualche modo vuole darci la possibilità di purificarci, della catarsi, ma attenzione, perché è solo una lontana possibilità. Non siamo affatto al riparo dalla sua critica, anzi, siamo noi i diretti interessati. Non è infatti un caso che il film sia basato sulla pièce teatrale “Il dio del massacro” di Yasmina Reza e soprattutto che sia girato quasi interamente nella casa di una delle due coppie. Questo appartamento borghese ha al suo interno quattro persone, ma è molto più affollato di quanto possa sembrare. Oltre al fantasma di Aristotele che aleggia nell’aria c’è anche Pirandello che siede sul divano. Solo che i quattro personaggi non sono né sei né sono in cerca di autore, ma sono quattro, nessuna e dodici. Infatti, come si può notare sulla magnifica locandina, ci sono dodici espressioni di quattro facce, quasi come un’ammissione da parte del regista di aver invitato anche Pirandello ad assistere a questo particolare massacro.
Magia del teatro al cinema, un connubio spesso fortunato nella storia della settima arte. Basti pensare alla quantità di registi teatrali passati a fare cinema e viceversa, delle innumerevoli opere riproposte cinematograficamente, e viceversa anche qui. Ma anche di come alcuni registi usino tecniche più di uso teatrale che cinematografico per raccontare la propria storia. Più di mezzo secolo fa Sidney Lumet dirigeva “La parola ai giurati” o più recentemente Lars Von Trier si è cimentato nell’esperimento “Dogville”. Carnage è dunque un altro esempio di questa unione felice, che in questo caso viene usata per creare una satira pungente, talmente esplicita da essere leggera in un certo senso. L’opera presenta poi un altro aspetto degno di nota: la macchina da presa, che sembra abbandonare il suo ruolo di documentatrice della scena e prende vita, indagando in prima persona nella psicologia dei personaggi. Che non ci fosse pure Freud in questo salotto?
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