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Carnage

Regia di Roman Polanski vedi scheda film

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La recensione su Carnage

di lao
10 stelle

Quanto avviene fra le quattro mura di un appartamento di New York fra due coppie borghesi in “Carnage”, tratto da una pièce teatrale di Jasmina Reza, ha qualche probabilità di succedere davvero o si tratta di una estremizzazione paradossale da teatro dell’assurdo? Lo spettatore, mentre si gode lo scintillante duello soprattutto verbale fra  Alan e Nancy Cowan( Christoph Waltz e Kate Winslet) e  Michael e Penelope Longstreet ( John J.Reilly e Jodie Foster) se lo chiede perplesso oppure ammette di trovarsi spesso nelle medesima zona di confine fra urbanità forzata e impulsività incontrollabile. Dato che di guerra in fondo si tratta non sarà improprio utilizzare, per comprenderne i meccanismi,  le categorie storiografiche: lo scontro ha sia una causa occasionale sia una causa latente, più profonda. A portare Alan e Nancy a casa di Michael e Penelope è una banale lite al parco fra i rispettivi figli: in un primo tempo la buona educazione ha la meglio, Penelope offre una fetta di torta,  Nancy chiede, gentile, dei tulipani sul tavolino del salotto, ci si informa dei rispettivi lavori e da persone evolute si parla di conciliazione. Ma all’improvviso si gettano le maschere, inizia il conflitto a fuoco: una coppia si allea contro l’altra coppia, poi la fragile solidarietà coniugale si sfalda, marito e moglie si odiano, le  donne si disprezzano,  un volgare cameratismo rinsalda i maschi, apprezzano entrambi il buon whisky e i sigari, e  più di ogni altra cosa condividono l’insofferenza per le consorti. Difficile però precisare quale sia la parola o il gesto, sfuggiti involontariamente o no,  che fa precipitare la situazione: il cuore della pellicola sta  infatti altrove.  Siamo nati per detestarci: il modo di pensare, il modo di essere, il  cinismo o  fatuo idealismo e infine odori, secrezioni e contatti ci rendono insopportabili gli uni agli altri.  La società e la famiglia sono  imposizioni contro natura: si può convivere solo a patto di reprimere il dio della carneficina vigile in noi, e la coercizione genera nevrosi ed infelicità.  L’assunto filosofico per essere verificato senza pericolo di astrazioni impone il microcosmo classico del salotto borghese, aperto all’esibizione di sé da parte di personalità rappresentative dello stile di vita occidentale: la dimora dei Longstreet dove fanno bella mostra libri d’arte e vasi di tulipani è in fondo il luogo ideale del confronto civile fra punti di vista e valori antitetici, il simbolo di una democrazia progredita dove coabitano  il moralismo impegnato e colto di Penelope, il conclamato e brutale opportunismo di Alan, e la passività nei confronti delle imposizioni dei coniugi, alimentata dal rancore,  di Micheal e Nancy. La prigionia dell’unità di tempo e luogo non consente remissioni momentanee;  la macchina da presa di Polansky rende ancora più palpabile rispetto al testo teatrale la tortura psichica di una convivenza consegnata al galateo delle apparenze.  L’umanità riunita a dibattere nell’elegante proscenio è costituita da uomini e donne troppo uguali per essere diversi. Basta un niente per trasformarli in quello che sono, per gettarsi alle spalle un linguaggio  secolare artificiosamente nutrito di parole vuote quali etica, amore e rispetto: i tulipani vengono spezzati, il vomito imbratta i libri d’arte.   

 Lontano dall’arena, dove papa e mamma si sbranano,  nel parco, il criceto perduto di Michael e Penelope, guarda divertito il rampollo dei Longstrett e quello dei Cowen di nuovo insieme come se non potessero fare più a meno l’uno dell’altro.

Per confronti e percorsi culturali suggeriti dal film cfv mio blog: http://spettatore.ilcannocchiale.it/post/2680670.html

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