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Crazy, Stupid, Love.

Regia di Glenn Ficarra, John Requa vedi scheda film

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M Valdemar

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La recensione su Crazy, Stupid, Love.

di M Valdemar
6 stelle

Solo a voler (rac)contare le coincidenze ci s’aggroviglierebbero pensieri e parole: eccessive, esagerate. Specie con l’ultima, inaspettata combinazione (chi è la ragazza di cui s’è innamorato il playboy pentito?), disvelata opportunamente appena un attimo prima che il dedalo di fraintendimenti e combinazioni si riveli e scateni una sarabanda impazzita, in cui all’improvviso partecipa anche un Kevin Bacon materializzatosi dal nulla, forse teletrasportato direttamente dalla penna (e dalla mente) in deficit dell’attenzione dello sceneggiatore.

Ma, a voler esser puntigliosi non ci si diverte, suvvia, si metta un momento da parte il tronfio raziocinio (impiegarlo altrove, please) e la scena in questione quasi quasi parrà esilarante.

Inequivocabilmente una commedia degli equivoci, e univoca la direzione: l’amore. Stupido pazzo amore, perché stupide pazze sono le persone. Semplice. Quasi stupido. (Stupito da cotanta acutezza, potrei pure chiuderla qui. Ma no, chiudiamola lì.).

In sintesi: tredicenne s’innamora di giovine babysitter che s’invaghisce del di lui padre, a sua volta lasciato dalla moglie e ammaestrato all’arte della seduzione dal donnaiolo-Miyagi che poi però cambia e trova la sua anima gemella in una frizzante ragazza che si scopre essere … Ah, e qualcosa dalla “catena infernale” è anche rimasto fuori (il contabile e la maestra).

Però - e qui stanno i pregi - Crazy, Stupid, Love. è una commedia garbata, genuinamente briosa, semplice nonostante l’abbondanza d’intrichi, piacevole e a tratti spassosa (tutte le scene con Marisa Tomei). Lontana, finalmente (fieramente?), da quella irritante e noiosa, imprescindibile moda dei recenti film hollywoodiani (apatowcommunity-nottidaleoni-cattive maestre, eccetera), tutti votati al categorico e trionfale misurarselo: il grado d’imbecille e inutile volgarità. Chi più l’innalza più acchiappa. Non si tratta d’esser perbenisti o finti indignati, ma solo di constatare l’indebolimento preoccupante della creatività, in cui trova fertile terreno il ricorso, reiterato e incontrollato, alla becera scurrilità, quella infima, fine a se stessa.

Registi e sceneggiatore si dimostrano capaci (e “coraggiosi”, oramai) a impostare un tono discreto, accattivante senza essere insultante o irretente, bilanciando romanticismi e humour, sentimenti e facili attrattive. Il ritmo è buono, ma risente di un’eccessiva durata della pellicola che però non stanca. Si segue con piacere, in fondo. In fondo ci piace sperare.

Il ruolo del protagonista Steve Carell, anche produttore, se l’è cucito addosso, è evidente, ha la faccia e l’espressione giusta, ma certo non è (mai stato) un genio della recitazione. Accanto a lui ruotano una Julianne Moore, per cui per costituzione dovrebbe essere proibito parlar male, il divo in ascesa Ryan Gosling (un po’ immobile, in posa, non spicca in personalità) e l’accoppiata, in brevi ruoli, Marisa Tomei - Kevin Bacon. Se la prima (si) esalta con la sua esuberanza e naturale “svampitezza“, il secondo appare sprecato e spaesato. Bravo, e simpatico, Jonah Bobo (Dietro l’angolo, Zathura - Un’avventura spaziale) a interpretare l’arguto figlio (nonché autore di una geniale “sintesi” de La lettera scarlatta) di Carell. Manca qualcuno? Certo, Emma Stone!

Questa rossofuoco attrice, effervescente e sfavillante, sprizza talento (per le commedie brillanti) in ogni situazione, dominando la scena. E sua è la battuta migliore, quando, vedendo la perfetta forma del corpo (la parte superiore) di Gosling, gli chiede se lo hanno “photoshoppato”.

Scipperemmo volentieri uno sguardo ai suoi occhi verde smeraldo …

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