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Drive

Regia di Nicolas Winding Refn vedi scheda film

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La recensione su Drive

di scandoniano
8 stelle

Un uomo senza nome e senza vita sociale vive a Los Angeles facendo lo stuntman ed il meccanico di giorno e l’occasionale driver della malavita di notte. La sua esistenza solitaria e metodica è sentimentalmente scossa dal casuale incontro con Irene, vicina di casa con marito in galera e figlio a carico. Quando il galeotto Standard torna a casa, il protagonista proverà a farlo uscire dai suoi loschi giri…

Noir contemporaneo firmato da Nicholas Winding Refn, autore danese che con questo “Drive” compie il suo primo colpo grosso, vincendo a Cannes il premio per la regia ed attirando su di sé gli occhi di coloro che cercano un nuovo autore originale e con una sua poetica definita. Il regista da questo punto di vista è linfa vitale per un cinema che vuole rimanere underground contemporaneamente non sputando sui verdoni hollywoodiani. Refn rimane legato pervicacemente ai suoi topoi (cruda violenza metropolitana, fondamentale musica di sostegno, fotografia riconoscibile, sceneggiatura asciutta). Altrettanto basilare qui risulta la collocazione geografica: la Los Angeles di Refn è rarefatta, impersonale e notturna, uno sfondo ideale per una favola nera in cui si stagliano figure solitarie fondate sull’incomunicabilità (non solo verbale), pervase da un’atmosfera onirica.

Drive” è la punta dell’iceberg della celebrità mainstream di Winding Refn, che invece nei circuiti underground si era già creato il suo prestigioso pedigree registico (in particolare con la trilogia di “Pusher”). Un percorso differente, come differente è la poetica, rispetto al regista a cui molti banalmente e comunemente lo accomunano, ossia Quentin Tarantino. I punti di contatto tra i due autori sono numerosi (entrambi a proprio modo talentuosi, ostentatori di violenza, riconoscibili dopo poche scene, portatori di una ventata di autenticità). Tuttavia occorre sottolineare che sono più le differenze che le analogie tra i due. Refn ha una visuale veramente originale, sospesa tra classicità ed attualità, con una volontà di ricerca sociologica a guidarne le scelte, Tarantino invece è un gran frullatore che prova a ricavare il nuovo da una commistione di dejà vu, sfruttando la sua innegabile cultura cinematografica. Un esempio su tutti, il tema della violenza, tanto caro ad entrambi. Quella di Refn è un tassello obbligato (e spesso fisiologico) della vita dei propri personaggi, la violenza nei film di Tarantino appare invece quasi come un esercizio ludico, un tentativo di giocare a fare il duro, mantenendo sempre un occhio al circuito che conta da cui ha una tremenda paura di essere tagliato fuori.

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