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...E ora parliamo di Kevin

Regia di Lynne Ramsay vedi scheda film

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La recensione su ...E ora parliamo di Kevin

di alan smithee
6 stelle

Puo' un giovane sedicenne di buona famiglia nascere cattivo dentro, senza che siano fattori esterni o condizionamenti a portarlo all'abbruttimento fine a se stesso? eccome se puo', stando al film dell'inglese Lyanne Ramsay, in concorso all'ultimo Festival di Cannes. La madre Eva (una Tilda Swinton bella e imperfetta come sempre, sexy con le sue gambe a stecco e l'alluce valgo, e piu' in generale un costante valore aggiunto ai film che la vedono coinvolta) si sforza di capire cosa ha portato il figlio a commettere la strage all'arma bianca di cui si rende efferato protagonista. Ma piu' ripercorre il passato piu' si rende conto che il male, buio nella mente del giovane non e' stato creato con gli anni, ma si e' sempre annidato in lui. Lungi dall'essere un film horror su giovani posseduti, il film rimane con i piedi per terra salvo concedersi divagazioni visive su sfondo rosso che vedono gia' dall'inizio la Swinton coinvolta un un'ammucchiata di corpi in un liquido rosso a meta' strada tra il sangue e la passata di pomodoro, tartine traboccanti di marmellata purpurea, schizzi di vernice rossa su muro e macchina gettata da anonimi probabilmente vicini al dolore delle molte vittime, magliette schizzate di palline vermiglio indossate dal giovane, ancora la Swinton smarrita nel supermercato che si nasconde tra un muro di scatole di pelati. Molto azzeccata la scelta di Ezra Miller in un ruolo a lui non nuovo (vedi Afterschool). Il suo fisico efebico e lo sguardo a meta' strada tra il demoniaco e l'angelico lo rendono il piu' credibile e verosimile figlio che si possa immaginare per una bellezza sofisticata e androgina come la Swinton.
La Ramsay dirige con un certo stile e con un montaggio piuttosto frammentato da cui ci si attendono spiegazioni che poi alla fine non ci bastano e non ci convincono appieno. Dopo lo splendido Elephant di pochi anni orima, che ripercorre il dramma dal punto di vista degli autori e delle vittime o testimoni, qui la storia e' vista dal di fuori, dal punto di vista di chi, incredulo, cerca di capire come e perche'.
E giunti al termine si lascia la sala un po' smarriti, chiedendosi intimamente se, dopo un capolavoro come quello di Gus Van Sant, avevamo davvero bisogno di un film del genere o non e' tutta una dignitosa operazione un po' fine a se stessa.

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