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Miracolo a Le Havre

Regia di Aki Kaurismäki vedi scheda film

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La recensione su Miracolo a Le Havre

di lao
8 stelle

IL GIARDINO DEI CILIEGI

Quale vita è possibile per chi è condannato da una malattia incurabile? Dare uno risposta è dovere di chi è convinto della dignità della condizione umana, qualunque essa sia, e per questo Aki Kaurismäki in “Miracolo a Le Havre” lo fa a modo suo:  per  essere al di sopra delle iniquità,  siano esse determinate dalla società o dal caso, bisogna credere nei miracoli, cosi la pensano i suoi “miserabili” e  in base a tale certezza agiscono. Perché il prodigio si verifichi, e’ necessario aver fede non in un Dio munifico, bensì nel valore  del proprio essere al mondo come esseri coscienti e liberi di scegliere.

 Senza un susseguirsi di eventi inaspettati al limite dell’inverosimile, la storia del piccolo clandestino Idrissa( Blondin Miguel), che deve raggiungere la madre a Londra, del piccolo esercito di poveri diavoli che lo aiuta, e di  Arletty ( Kati Outinen), ammalata di tumore,  sarebbe conclusa ancora prima d’iniziare, confondendosi nella tragedia di migliaia di vicende anonime: avviene ogni giorno sulle coste del Vecchio Continente,  i clandestini vengono respinti o fuggendo si perdono,  i poveri d’Europa non sono affatto solidali; e infine  il cancro allo stadio terminale non perdona nessuno.  L’autore finlandese non occulta tali realtà, eppure, da delicato illusionista, vi stende sopra un velo di colori tenui e di buoni sentimenti: cambiando la luce, le cose si vedono sotto un'altra prospettiva.  Per prima cosa dà ai personaggi una fisionomia romanticamente anacronistica immergendoli in un'altra epoca: Marcel Marx( Andrè Wilms)  dopo aver fatto il bohemien a Parigi ora fa il lustrascarpe, sua moglie Arletty lo sostiene devotamente, fino a quando non scopre di essere  ammalata; nel quartiere povero di botteghe e bar d’infimo ordine dove vivono si respira un’aria pittoresca di anni lontani, quando i centri commerciali e le grigie periferie erano di là da venire, le persone si conoscevano e si sostenevano a vicenda; e ogni nome, ogni personaggio, il poliziotto, il cantante rock, sua moglie Mimi, evocano un altrove, dove l’arte, il cinema e il pensiero si contrappongono a un vero senza sbocchi per chi è nato fra gli “ultimi”. Colui che prende l’iniziativa per salvare Idrisse porta infatti il cognome di Marx, il filosofo che  ha immaginato per l’umanità liberata dalle disuguaglianze  un domani, in cui alla mattina si andrà a caccia, il pomeriggio si pescherà, la sera si alleverà il bestiame e dopo pranzo si farà il critico. Più che una favola  dunque l’aspirazione umanistica a un mondo etico verosimile, forse già esistito da qualche parte o perlomeno immaginato, e dunque da recuperare. Nel giardino spoglio di Arletty e Marcel sboccia all’improvviso un ciliegio e l’esistenza all’ombra di un giardino dei ciliegi somiglia a una pièce.

Per confronti e percorsi culturali suggeriti dal film cfv mio blog: http://spettatore.ilcannocchiale.it/post/2703031.html

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