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Miracolo a Le Havre

Regia di Aki Kaurismäki vedi scheda film

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La recensione su Miracolo a Le Havre

di M Valdemar
8 stelle

La fredda bianca luce che ammanta d’impenetrabile e sorda afflizione esistenziale la (in)civiltà moderna - inabissatasi nei paludosi gorghi dell’immiserimento socioeconomico e iniquamente scissa tra signorotti e proletari, integrati e esclusi, belli e brutti - che viene animata e tinta di reale umanità, di impossibili possibilità. Proprio grazie a losers, a “morti viventi” (gli immigrati clandestini), a comprensivi ma rarissimi rappresentanti dell’”ordine”. E grazie al Rock ‘n’ Roll.
Quando entra in scena Little Bob colla sua giacca di pelle rossa, i capelli ribelli, le basette fiammeggianti, i segni del tempo scolpiti sul volto e tanta, sincera passione a vibrargli dannatamente le corde vocali, la Speranza svolge le sue ali a proteggere il lustrascarpe Marcel Marx e i suoi nobili propositi: aiutare un giovanissimo immigrato del Gabon, Idrissa, approdato “per caso” al porto di Le Havre, a ricongiungersi alla madre che sta a Londra.
Eccolo, il miracolo di Kaurismaki.
Il Cinema è illusione, è materia immateriale, è stregoneria. E’“irreale”.
La realtà è plumbea, in rovina, malata. Stipata nei container, assieme alla “roba” che ci possiede. Quando la “roba” sono persone siamo noi che la possediamo, che vantiamo diritti, che intimiamo doveri. Armati della cieca furia del “prima noi”, “tornatevene a casa vostra”, e disarmati di buon senso, di elementare intelligenza. La realtà è complessa, non ghettizzabile. Eppure lo facciamo.
Nelle periferie di Le Havre, come potrebbero essere quelle di qualsiasi altra città, specie di frontiera, la fauna composita che le abita - tra case spoglie, vie grigie e deserte, piccoli bar e botteghe - è quella tipica dei film di Kaurismaki: reietti, poveri, “scansati” (dalla società “perbene” - come il negozio di scarpe), perfino “inesistenti” (il collega di Marcel). Esseri silenziosi e all’apparenza tristi, che hanno vissuto e visto le cose cambiare. Non in meglio. Esseri umani, comunque, fieri e giusti. Come Marcel Marx: un bambino invecchiato, un tempo bohemienne nella fertile Parigi, che non potrebbe farcela senza la moglie, Arletty. Avviene che a quest’ultima venga diagnosticato un male incurabile; succede che Marcel nel frattempo prenda a cuore le sorti di Idrissa. Sia nell’uno che nell’altro caso gli ostacoli paiono insormontabili: la scienza non sbaglia, le istituzioni non perdonano, sono implacabili.
Solo un miracolo li (ci) può salvare. Potenza del Cinema, potenza di Kaurismaki.
Il suo sguardo poetico - folle e lucido -, carico di un’ironia pungente e nera che intinge mirabilmente nei rivoli di una storia altrimenti troppo “vera” e disperata, finita (male), è un bene prezioso a cui non si può - né si deve - rinunciare.



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