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L'apollonide (Souvenirs de la maison close)

Regia di Bertrand Bonello vedi scheda film

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La recensione su L'apollonide (Souvenirs de la maison close)

di alan smithee
7 stelle

Bertrand Bonello, regista che non si preoccupa ma troppo di piacere, di farsi condividere od apprezzare con un linguaggio accomodante o poco diretto, ma piuttosto di seguire il filo narrativo che ispira la propria personale concezione di racconto cinematografico, ci conduce all'interno di una casa chiusa ad inizi '900: l'interno sontuoso di un vecchio palazzo nobiliare che ospita una giunonica maitresse (l'attrice e regista Noémie Lvovsky) ossequiosa e molto attenta ed oculata nella gestione, dolce, materna, ma anche opportunista quel tanto necessario per far quadrare i conti sempre più risicati di una gestione a quei tempi già difficile, tra affitti, spese e vitti da assicurare alle ragazze “accolte” ad offrire i loro servigi ad un pubblico maschile sempre visto da lontano, e volutamente in modo sfocato, messo scientemente in secondo piano come sola fonte di sostentamento in cambio di attimi di piacere da consumare tra le intimità di un letto a baldacchino.

Seguiamo in particolare attimi di vita di tre, quattro fanciulle, tra cui una tunisina giovanissima (il bellissimo volto fine dell'attrice di Cous Cous, Hafsia Herzi), una bellissima bionda abile a dare spettacolo con i suoi trasformismi a volte anche eccentrici (la lanciatissima Adèle Haenel, in Francia già una star) un'italiana gioiosa e collaborativa (è Jasmine Trinca), finita poi per ammalarsi gravemente e perire tra mille sofferenze, una francese disincantata e desiderosa di fuggire, ma impossibilitata per un debito che si porta dietro dalla prima giovinezza (è la splendida Céline Sallette, in versione antico e moderno, per un confronto ieri/oggi che è la vera genialità del film), e soprattutto la tragica esperienza vissuta/subita da una ragazza che, desiderosa di sposarsi e condurre una vita di famiglia tradizionale, si lascia ingannare dalle turpi crudeli bugie e promesse di un sadico maniaco, abituale frequentatore del posto, venendo orribilmente mutilata in volto, con uno sfregio netto che le modifica per sempre lo sguardo in una inquietante smorfia, espressione come di un sorriso malvagio e ormai perennemente fuori luogo.

Bonello, per nulla attratto in generale dall'esigenza di perdersi in riproduzioni calligrafiche o ridondanti, magari fini a se stesse nello sfarzo di un tentativo rappresentativo fine a se stesso, non per questo risulta avverso e rinuncia al ritratto botticelliano delle morbide e languide bellezze che animano e danno ragion d'essere alla casa chiusa: nelle attese di essere scelte, in posa per accalappiare l'uomo della serata; magari nei momenti di pausa nel bosco o al lago; e filma un luogo di appuntamenti da tempo scomparso anche nei ricordi dei più anziani; un luogo di ritrovo, rassicurante, necessario, che non appare da una parte particolarmente penalizzato da sentimenti nostalgici facili o superficiali, ma nel rappresentare il quale il regista nemmeno rinuncia a rimarcarne - soprattutto nel finale spiazzante e forte del confronto immediato e senza preavviso tra l'ieri e l'oggi - la funzione positiva di luogo di protezione che la casa chiusa, di fatto a volte al contrario prigione, poteva offrire, come asilo e come luogo per l'esercizio , a molte sventurate ragazze, tristi ma nello stesso tempo speranzose o disilluse di trovare qualcuno che finalmente potesse apprezzarle come donne e non solo come un ammasso aggraziato di forme e curve strutturate al punto giusto.

 

 

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