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Melancholia

Regia di Lars von Trier vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Melancholia

di sasso67
2 stelle

Vi sono registi che a una certa età cominciano a girare film che non avrebbero una ragion d'essere, se non quella di farli sentire ancora cineasti in servizio permanente effettivo. È il caso dell'ultimo Chabrol, ma anche dell'ultimo Rivette e, secondo me, anche dell'ultimo Woody Allen. Von Trier ha cominciato abbastanza presto. Per quanto mi riguarda, avevo ancora qualche dubbio se accettare la definizione data da Mereghetti sul regista danese quale grande friggitore d'aria, prima di vedere Melancholia: ora non ne ho più.

So benissimo che questi registi hanno schiere di ammiratori pronti a difenderli sempre e comunque e ad immolarsi sull'altare dei loro film più orripilanti e inutili. Così come so benissimo che questi Maestri (detto senza ironia), che ho amato - in particolare Allen, ma anche il Von Trier di Europa e delle Onde del destino -,  sono pur sempre capaci di darci opere significative ed importanti. Quello che non accetto è che i corifei del Von Trier di Manderlay, di Antichrist e di Melancholia possano dire, con senso di compatimento, che il loro beniamino è di quei registi che si ama o si odia, senza mezze misure. Io non odio Von Trier né i suoi film (che sono stati ottimi, di medio valore e brutti), ma lo critico per la mancanza di senso di questi ultimi. Lo critico, infine, anche per l'incoerenza del caposcuola - mi riferisco ovviamente al Dogma - che per primo tradisce i precetti che ha emanato. Con la sola esclusione di Idioti e parzialmente delle Onde del destino, i film di Von Trier sono tra i meno "dogmatici" che sia stato dato di vedere (vogliamo parlare, al di là del suo valore, di Dogville?). Melancholia lo è soltanto per qualche frammento, concentrato soprattutto nella prima parte (Juliette), che peraltro sembra quasi ricalcata da Festen (1998), il Film Dogma #1, dell'amico e sodale del Gran Danese, Thomas Vinterberg. Ne esce, però - dai canoni del Dogma -, per quel proemio artistico che rielabora elettronicamente celebri opere pittoriche e per la sua adesione volente o nolente al genere fanta-qualcosa, confermata dall'introduzione dell'argomento Apocalisse planetaria.

La sceneggiatura è squilibrata soprattutto nella descrizione dei personaggi e lo riconosce implicitamente anche il critico di FilmTV (Giulio Sangiorgio) che ne parla bene su queste pagine: il film è diviso in due parti assolutamente distinte, che stanno insieme con lo sputo, grazie all'espediente di due sorelle che più diverse non potrebbero essere, tanto che solo il copione di un menefreghista come Von Trier potrebbe pensare quali sorelle la bionda avvenente Kirsten Dunst e la bruna bruttarella Charlotte Gainsbourg (ora speriamo che non insorgano anche i fan, alla Fabio Fazio, dell'attrice francese, peraltro assai brava).

I dialoghi sono di una banalità sconcertante e a tratti rasentano la comicità involontaria (poi mi dovrebbero spiegare perché in un campo da golf di diciotto buche, come specifica John, ve ne sia una con la bandierina numero 19), come quando, di fronte alla catastrofe che di lì a poco cancellerà il nostro pianeta dall'universo, le due sorelle si disperano perché i sette miliardi di umani sulla Terra sono soli nel cosmo: oh quale preoccupazione, caro Trier, pensare che non esistono i marziani! Per la prima volta, mi è capitato di vivere l'impatto di un pianeta che distrugge la Terra e la vita su di essa come una liberazione.

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