Espandi menu
cerca
Melancholia

Regia di Lars von Trier vedi scheda film

Recensioni

L'autore

ROTOTOM

ROTOTOM

Iscritto dal 15 ottobre 2004 Vai al suo profilo
  • Seguaci 116
  • Post 22
  • Recensioni 559
  • Playlist 311
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Melancholia

di ROTOTOM
10 stelle

Sul far della sera, quando la luce non è più  luce e il buio non è ancora buio, in quella dilatazione temporale tra due mondi in perenne collisione, in quel limbo onirico che strappa i drappi della coscienza mostrandone l’abisso, si possono vedere i fantasmi farsi largo tra le ombre e giocare tra passato e futuro divenuto tutt’uno e poi fondersi tra loro in una alchimia di languore, pace e disperazione.

Una danza di morte, mostrata all’inizio del film, un destino che arriva dall’infinito e si materializza come un astro, bellissimo, che si schianta sul nostro pianeta.
 L’inevitabile scandito dalla musica dell'opera Tristano e Isotta di Wagner, mentre bruciano i dipinti di Pieter Bruegel il Vecchio e un ralenti mostra in istantanee pittoriche, solide, artificiose e definite, ispirate al pittore romantico tedesco Caspar Friedrich, il plastico flash forward della fine.
 La struttura del film ricorda l’inizio di Antichrist (2009), estasi dell’estetica come prologo e successiva demolizione di tutte le convenzioni, con una successiva narrazione ” dogmatica” che ricorda la riunione di famiglia di Festen (1998) di Thomas Vinterberg.

 Il film è ispirato all’incisione a bulino di Melencolia di  Albrecht Dürer del 1514 che imprime la melanconia  di simbolismi ispirati alla mitologia di Saturno e dei suoi figli destinati all’infelicità e ai prodromi dell’alchimia che impasta la razionalità scientifica con l’impulso creativo. Così la melanconia diventa uno stato della mente, degenerazione dello stato d’animo che sarà alla base di tutto il Romanticismo.
Melancholia è un pianeta come lo era il pianeta  Solaris di Andrej Tarkovskij (1972), anch’esso un luogo della mente attorno al quale orbitava l’astronave subendone gli influssi onirici. Nella biblioteca i quadri di Bruegel facevano da sfondo alla danza del protagonista con la sua amata donna fantasma, fluttuanti nella stanza in assenza di gravità. Nel film di Von Trier gli stessi quadri bruciano, le speranze e i ricordi generati dal pianeta sconosciuto di Tarkowskji sono cancellati dalla potenza della natura totalmente ignara della vita che viene spenta.
 Un gioco di orbite e masse, di distanze siderali e regole dell’attrazione antiche come il cosmo stesso verso la cui grandezza il misero pensiero umano non può che inchinarsi e riconoscere la propria fallace, casuale natura.


Natura ancora contrapposta alla Scienza, come in Antichrist le due forze si contendono una verità che non ha alcun senso. La fine è indipendente dalla capacità di comprenderla.
Mondi in collisione, la bellezza e la grandiosità dell’evento che si prepara fin dalla notte dei tempi in un rintocco di coincidenze che sfiorano il miracolo.
 Mondi in collisione sono quelli delle due sorelle protagoniste, Justine/Kirsten Dunst premiata a Cannes come miglior attrice e Claire/Charlotte Gainsbourg.  La prima attraversa la serata del suo matrimonio come una cometa morente, passa dalla radiosa voluttà del momento alla disperazione più nera. Perfettamente accordata al pianeta Melancholia del quale accoglie il sensuale manifestarsi con totale disponibilità,  Justine viene ritratta nella decadenza della borghesia bloccata in un luogo della mente da cui non c’è scampo.  
Claire è legata ai riti del focolare e accetta con fiducia il raziocinio scientifico del marito John/Kiefer Sutherland fino allo scoramento dettato dall’incomprensione del fallimento della razionalità che aveva dominato la sua esistenza.  I mondi delle due sorelle formano un dittico contrapposto le cui manifestazioni  si trovano nei simbolismi profetici  dell’ouverture – l’incubo di Justine -  che anticipa il finale.
 La fine della specie umana è già avvenuta prima, nei rituali pomposi, nei piccoli rancori, nella decadente proposta di Claire di proporre un brindisi al pianeta errante. La proprietà su cui sorge il castello teatro della vicenda è una prigione inespugnabile, luogo della mente magico e onirico, è il  palco del teatro morente sul quale si rappresenta la spaventosa bellezza del male assoluto.


Grandissimo film, Melancholia è un’opera prepotente e disperata, solenne come un funerale, diretta saldamente fino all’ultima straordinaria inquadratura con folle lucidità, capace di instillare negli occhi dello spettatore tutto il dolore delle sue protagoniste. Tanta camera a mano e digitale ma anche una costruzione della scena che scolpisce i suoi personaggi inchiodandoli nei contorni netti al loro destino. E poi grandi aperture verso la desolazione dell’esterno, uno slabbro verso l’infinito per rammentare ai piccoli uomini la grandiosità dell’universo e l’ottuso rigore delle sue regole.  
Melancholia è un diorama di infelicità che smonta ogni certezza, visiva e narrativa,  emotiva soprattutto, sfidando apertamente chi guarda a stare ad un gioco di cui conosce già regole e finale ma che trova proprio nella costruzione dichiaratamente artificiosa della messa in scena, svincolata da qualsiasi verosimiglianza , il piede di porco per sfondare la consuetudine dell’immagine che anestetizza gli spettatori del cinema contemporaneo.
 
 Non c’è speranza nel film di Von Trier, ne’ indulgenza o consolazione, nella forma è fondamentale tutto ciò che manca, spazi vuoti e gli appigli mancanti, le certezze spazzate via in una vertigine che sprofonda verso i sentimenti più intimi fino alla liberazione finale. L’uscita dal buio dell’incertezza è la luce abbagliante della fine, la razionalità è spazzata via dalla natura. The tree of life, Palma d’Oro di Terrence Malick, scava nell’animo umano e ne cerca la bellezza attraverso il messaggio finale di vita e speranza, il cosmo è ritratto alla sua nascita e l’evoluzione viene mostrata come susseguirsi di casualità pazienti, un lento mutare che attraversa il tempo fino all’effimera forma che la vita ha preso su un pezzo di roccia azzurro fluttuante nell’infinito. In quello stesso universo viaggia un pianeta senza traiettoria.
 Malvagio e innocente, attraversa il tempo come uno scherzo infinito per colpire dopo lentissimi rintocchi di miliardi di secoli un luogo remoto e sconosciuto. Siamo soli dice Justine, lei sa le cose, rappresenta la Natura che si affranca dal controllo della Ragione. Il male assoluto, l’oblio e la fine si mescolano alla spaventosa bellezza dell’annientamento. 

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati