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Nessuno mi può giudicare

Regia di Massimiliano Bruno vedi scheda film

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La recensione su Nessuno mi può giudicare

di LorCio
6 stelle

Nessuno mi può giudicare (titolo di lavorazione più alla istant movie: Escort in love) è la celebrazione goliardica del cinema romanocentrico di inizio duemila. Dentro l’esordio del finora prolifico ed eclettico Massimiliano Bruno c’è tutta una serie di elementi che decreta il definitivo strapotere della commedia romana (così come negli anni ottanta e novanta il timone era in mano a Milano). La cadenza romana della parlata (che non è un vernacolo, è qualcosa di più, una specie di sottolingua, perché daje daje certe parole le usano anche gli accademici della Crusca), il proletariato buono e cortese (ma Pasolini non c’entra, c’entra più la Sora Lella), l’ambientazione romana che implica molte connessioni anche sfiziose (politici di grido, manager rampanti, il Quarticciolo tanto per citare il quartiere al centro della storia) e così via. Ad occhio e croce è rimasta solo la Cattleya, nel campo delle commedie, a cercare location diverse (ma qui c’è tutto un discorso sulle film commission), come la Perugia (e qui c’è anche la Perugina) di Lezioni di cioccolato o la Treviso di Diverso da chi? o la Firenze di C’è chi dice no.

 

Roma caput mundi, insomma (e direi pure a ragione). E poi, andando più nello specifico del film, alcuni elementi ricorrenti nel cast: ecco Fausto Brizzi, che sprovincializza Roma e al contempo ne capta tutto il suo provinciale splendore, il fido collaboratore Bruno (promosso regista) e uno stuolo di attori della grande famiglia (Paola Cortellesi è cresciuta artisticamente con Valerio Mastandrea, voce narrante e cameo improvviso; Raoul Bova finalmente sfodera il suo romano doc; e poi i caratteristi Lucia Ocone, Lillo, Riccardo Rossi, Caterina Guzzanti, Dario Cassini, Valerio Aprea sono la testimonianza della fertilità del cabaret romano; l’apparizione di Remo Remotti come nume tutelare).

 

Detto ciò, senza perderci in ulteriori chiacchiere, va detto che il film è molto carino per quanto convenzionale, credibile per quanto sopra le righe (specialmente nel palazzone multietnico), legato ad una tradizione brillante nostrana che affonda le sue radici nel cinema degli artigiani come Steno e il Luigi Zampa delle commedie, pur mostrando evidenti limiti strutturali (la storia è un tantino prevedibile, qua e là macchinosa) ma dal ritmo brioso. In un ruolo che quarant’anni fa avrebbe fatto la felicità di Santa Monica Vitti, Paola Cortellesi offre la sua prima vera prova da attrice, coadiuvata da una sorprendente Anna Foglietta e da un trucido ed adorabile Rocco Papaleo (“Ve lo meritate Nanni Moretti!”).

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