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Midnight in Paris

Regia di Woody Allen vedi scheda film

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La recensione su Midnight in Paris

di Bardolin
7 stelle

Il vero commento a un film di Woody Allen sono le frasi che fa dire ai personaggi stessi: "L'amore vero, autentico crea una tregua dalla morte". "La vigliaccheria deriva dal non amare o dall'amare male, che è lo stesso". "Quando un uomo guarda con coraggio, senza paura la morte è perchè ha una tale passione da fugare la mente dalla morte"

La contrapposizione di Woody Allen

Il filosofico Woody in un film nostalgico ci spiega come va cercata la felicità

Woddy Allen quando scrive Midnight in Paris, nel 2011, è già un regista affermato e considerato e ha lasciato dietro di sé una lunga carriera costellata da successi e trionfi, arrivati grazie al suo stile cinematografico filosofico, raffinato e incisivo dove rappresenta la materializzazione degli interrogativi dell’uomo e la sua interiorità, criticando e ridicolizzando con un’ironia pungente e non scontata la società attuale che sottrae sempre più spazio alla riflessione. Questo film rappresenta in pieno il suo stile: Attraverso di esso Woddy Allen tenta, infatti, di rifugiarsi dalla superficialità della vita.

A dispetto del suo amore sconfinato verso New York, città ideale e spesso utilizzata nei suoi film, colloca questa storia sentimentalmente nostalgica a Parigi: Nei minuti iniziali il regista passa in rassegna, per oltre tre minuti, ai luoghi della capitale francese, luoghi che però non identificano direttamente Parigi, ma potrebbero riferirsi a qualunque altra grande metropoli. In seguito però la regia e la fotografia si mostrano all’altezza del difficile compito di rappresentare Parigi negli anni 20’, a mezzanotte, l’unico momento in cui Gil (Owen Wilson), infelice della sua vita lavorativa e sentimentale trova conforto in questo mondo magico dove viene a contatto con i più grandi scrittori e artisti dell’epoca, capaci di risvegliare in lui la giusta felicità e ispirazione per il suo libro. Si fa riferimento a un fatto storico accaduto nel 1920 dove scrittori statunitensi si stabiliscono in Francia per confrontare le proprie opere, riunendosi in un gruppo che passerà alla storia con il nome de “La generazione perduta”. Allen oltre a presentare a Gil e a noi Scoot e Zelda Fitzgerald ci fa conoscere la grande personalità e carisma di Hemingway di cui il registra sembra manifestare una grande ammirazione e rispetto, infatti ogni sua espressione, parola e discorso viene focalizzata e posta in primo piano permettendoci di gustarci la grande personalità dello scrittore (“L’amore vero e autentico crea una tregua dalla morte”, questa la frase che più mi ha colpito), il tutto mentre il mito di Cole Porter seduto al piano suona la sua ultima e intramontabile composizione, “Let’s do it”; come se fossero ancora tra noi tanto appare tutto chiaro e bello, tranne i salti temporali di cui Allen non ci fornisce alcuna spiegazione: Gil quando torna al presente, alla sua vita? Sempre la notte stessa o il giorno dopo?… Un piccolo difetto che appare irrilevante di fronte alla genialità di mostrarci i mostri sacri della letteratura mondiale e di inculcarci così i loro preziosi insegnamenti.

La storia sentimentale a Parigi, rappresentata sempre nelle ore del giorno, è superficiale e deludente, dove il carattere dolce e notoriamente profondo dell’attrice Racehel McAdams non si sposa bene con l’interpretazione di una donna incapace di capire le difficoltà dell’innamorato e di essere in continuazione sotto l’ala protettrice dei suoi ingombranti genitori. A ciò si contrappone la vicenda magica, dove allo scoccare della mezzanotte si apre per Gil il mondo da lui sempre desiderato. Woddy ci mostra le due facce della stessa medaglia, una che rappresenta la superficialità e l’infelicità che ci può essere in una relazione sentimentale e l’altra, al contrario, la felicità che si può trovare attraverso la riflessione su sé stessi e quindi lontani dalla vita di tutti i giorni, che non è in grado di distaccarsi dalle cose materiali e mondane. Rappresenta la storia d’amore tra l’uomo e la felicità che Gil, per trovare, ha dovuto fuggire dal suo presente per tuffarsi nel suo passato dove credeva che ci potesse essere. Alla fine però è un’effimera illusione, pittorica come un quadro impressionista, realistica come un racconto di guerra di Hemingway, allucinante come un film di Luis Brunel, perché la felicità la trovi sì lontano dalla vita materiale e quotidiana ma non in un’altra epoca o in un’altra vita ma dentro di te, nei tuoi sogni. Il film, girando intorno a questo espediente fantascientico, sembra non fare rima con il realismo, Woddy sa bene che non è realismo abbandonarsi in un sogno, ma è di aver voglia di sognare e di avere il coraggio di portare il sogno nel presente, nella vita vera. Non a caso si fa dire a Gertrude Stein che l’artista non è colui che fugge ma colui che con la sua opera cerca di dare senso e speranza di fronte all’insensatezza dell’esistenza.

In conclusione, con “Midnight in Paris”, Woddy Allen da una parte critica il mondo di oggi pieno d’illusioni e privo di profondità, dall’altra ci esorta a guardare alla semplicità, seppur quasi invisibile, che c’è nel nostro tempo, il che sembra paradossale a oggi, e di arrichirla con la realizzazione dei nostri ideali. Gil alla fine capisce l’insegnamento e apprende che qualora si voglia rimanere ancorati a un’epoca del passato, facendola diventare il proprio presente, presto s’inizierà ad immaginare che un’altra epoca ancora diversa sia davvero la nostra epoca d’oro, quindi, alla fine dobbiamo capire l’unicità del nostro tempo perché per gli uomini del futuro, il nostro presente sarà oggetto d’invidia.

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