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Midnight in Paris

Regia di Woody Allen vedi scheda film

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La recensione su Midnight in Paris

di lussemburgo
6 stelle

 
Woody Allen continua il tour internazionale alla ricerca di nuovi fondi e set per i suoi film. Niente però cambia nel suo cinema, caratterizzato da una coerenza autoriale coercitiva che gli impedisce di allontanarsi dalla matrice univoca della sua ispirazione. Allen non solo tende a rifare sempre lo stesso film ma arriva anche a trasformare ogni città visitata in una succursale di Manhattan, guardata con gli stessi occhi alla ricerca del bello, dell’agiatezza alto-borghese, della vacanza intellettualistica. Il suo sguardo, dalla tenerezza carezzevole per lo sfondo noto, è passato alla curiosità passiva del turista, attento a riprendere le maggiori attrazioni circostanti per una riconoscibilità immediata del paesaggio su cui si stagliano le medesime figure, con la tipica necessità del viaggiatore che si fa fotografare sempre uguale davanti ai variabili monumenti del paese che visita.

L’intelligenza dell’intrattenitore permette ad Allen di condire di spezie locali trame polimorfe, adatte ad un trasferimento su un qualsiasi fondale, perfette per ogni ambientazione. Avendo Parigi  disposizione e scegliendo un letterato frustrato come protagonista, il regista si inventa un volo nei desideri con conseguente favolistico viaggio nel tempo dei Surrealisti e delle Avanguardie da parte del moderno autore alla ricerca di un’ispirazione perduta e appassita dalla committenza hollywoodiana. La noia del presente potenzia la magica fascinazione del glorioso passato che permette allo stralunato Clive Owen di incontrare i propri miti, trasformati in feticci citazionistici dall’abilità di Allen nel giocare con gli esercizi di stile, nell’imitare la prosa e le atmosfere d’antan incarnate dall’incanto di Hemingway o della Stein, di Dalì e di Buñuel, mostrando i migliori talenti del tempo ed evocando gli altri.

L’oggi e la concreta fidanzata perdono così interesse per il protagonista, già visibilmente distaccato ma vigliaccamente restio alla piena consapevolezza, il quale si perde dietro ad una amante seriale di artisti, a sua volta affascinata dagli altri tempi della Belle époque. E tutto si fa sfondo, cartolina animata su motivi alleniani, con la Première Dame a fare, ironicamente, da guida ai monumenti, l’Avanguardia a dare concretezza ad una favoletta la cui morale, a scanso di equivoci, viene anche pienamente espressa sul finale dal protagonista, ennesima variazione sul tema del personaggio del regista. Owen ne riveste infatti i panni indossando abiti dai toni beige, ne ripete i tic con il tipico leggero balbettio dell’incertezza e la confusione apparente tra poli femminili opposti, scegliendo sempre il più giovane e gioviale.

Artista fallito nella finzione, l’autore è invece un ottimo venditore, capace di grande adattabilità manieristica, verve verbale e capacità inventiva tali da sorprendere a sufficienza per convincere di una apparente originalità che, altrimenti, si potrebbe definire costanza. Perché tutto il film si dimostra un grande esercizio di stile, brillante e armonico, sui tipici ingredienti di Allen, con la psicologia sullo sfondo a rendere credibile la realistica favola come temporanea e metaforica perdita di sé, preludio ad un rassicurante ritorno all’ordine, al necessario recupero della gestione armonica della propria esistenza. Un’armonia che, pur nella diaspora produttiva lontano da Hollywood, Woody Allen non ha mai perso e che sempre ripropone, nascondendola dietro alla cortina fumogena di una narrazione costruita, per le sue potenzialità comiche o drammatiche, sull’imbarazzo e sullo spiazzamento.

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