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Il cavallo di Torino

Regia di Béla Tarr vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il cavallo di Torino

di EvilDevin87
10 stelle

3 Gennaio 1889, Piazza Carlo Alberto a Torino. Friedrich Nietzsche, nel vedere un cocchiere fustigare il proprio cavallo immobile, ferma l’uomo, abbraccia singhiozzante la bestia e poi perde conoscenza. Quale sia stato poi il destino del celebre filosofo si sa. Ma che ne fu di quel cavallo e del suo cocchiere?

Béla Tarr prende questo piccolo dubbio come punto di partenza e ci costruisce sopra un’opera impregnata di povertà e decadenza. I personaggi (il cocchiere e sua figlia) sono degli involocri vuoti e si muovono come spettri, come se fossero già morti dall’inizio. Non possiedono una caratterizzazione e tirano avanti per inerzia ormai, divorati dal quotidiano e dal vuoto che sono e che li circonda. L’ambientazione non lascia altri dubbi: ogni singolo anfratto gronda miseria, marciume, è un qualcosa lasciato andare a sè stesso. E se la miseria dell’animo umano non bastasse, metteteci pure un vento fortissimo ed incessante che spazza via tutto il resto. Il cavallo, in mezzo a tutto questo, pare essere l’unico essere vivente in anticipo sul percorso. Che speranze ci possono essere in un mondo così? Perchè dovrebbe continuare ad esistere? Quale situazione potrebbe essere più adatta per decretare la fine del mondo, qui rappresentata come una genesi al contrario?

Nel film vediamo un susseguirsi di logorante e misera quotidianità, rotti solamente tre volte da tre eventi prima che giunga la fine vera e propria: un personaggio di nome Bernhard arriva a casa dei nostri due protagonisti per comprare della grappa, e inizia un monologo, in cui parla del suo villaggio in rovina, fin troppo esplicativo per ciò che è la situazione che vediamo, rotto da un ferale e disinteressato “smettila di dire stupidaggini” da parte del vetturino Ohlsdorfer. Il secondo è l’arrivo di un carro di nomadi intenzionati a prendere l’acqua dal pozzo e che invitano la figlia a venire con loro. Vengono scacciati via da Ohlsdorfer con fare minaccioso, e prima di andare via regalano alla ragazza un libro, che inizierà a leggere mostrando una scarsa abilità a leggere. Il terzo evento è la scomparsa dell’acqua dal pozzo. In seguito a ciò, il cocchiere deciderà di cambiare aria e trasferirsi assieme alla figlia e al cavallo altrove. Ma il loro ricomparire all’orizzonte dopo pochi minuti è fin troppo emblematico.

Difficile trovare un altro film che sappia rendere il concetto di miseria e di fine di tutto meglio di questo. “Il Cavallo di Torino” è una rappresentazione nichilista del momento antecedente la fine del mondo che è già di per sè fine del mondo: il momento in cui nulla ha più senso. Il vuoto e apatico quotidiano che si ripete e che rifiuta qualsiasi variazione, la miseria che ne deriva e che ci circonda, la natura che si abbatte su di noi e sul mondo intero facendo scomparire gli elementi e lascandoci solo l’oscurità. La nostra è una natura autodistruttiva, e nel film la natura stessa si piega a questa condizione, abbattendosi sul mondo col suo vento incessante e spazzando via ogni cosa. Il cavallo, che da il titolo al film, sembra essere l’involucro dell’anima di Nietzsche stesso. Smette di nutrirsi e di trainare il carro fin dall’inizio perchè è già consapevole che nulla ha più senso, che Dio è morto e che l’essere umano, fragile e misero com’è, non può sostituirsi ad esso. E’ parte di quella natura che tutto crea e che, infine, tutto distrugge.

In poche parole? Un’esperienza visiva vera, che fa del vuoto della quotidianità il suo tutto e della miseria che trasuda la sua ricchezza di tematiche e riflessioni. In tre parole, invece, un capolavoro assoluto.

Inutile poi spendere parole sul lato tecnico del film. Sarebbe superfluo, ma scrivo giusto due righe per completezza: sembra essersi girato da solo, come se qualcosa attendesse la mano giusta per far sì che tale cosa divenisse visibile a noi comuni mortali. E la mano giusta, a quanto pare, era quella di un grande autore come Béla Tarr.

The-Turin-Horse01

PS: che cosa vorrà dire poi quella lampada ad olio che si illumina per pochi secondi alla fine del film? Un messaggio di speranza? L’ultimo respiro prima del silenzio finale? Un nuovo inizio come lo era l’oltreuomo secondo Nietzsche? Chissà.

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