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Il cavallo di Torino

Regia di Béla Tarr vedi scheda film

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kosmiktrigger23

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il cavallo di Torino

di kosmiktrigger23
8 stelle

Questo film mi è piaciuto molto, a partire dal fatto che ruota intorno a due elementi che io ho sempre apprezzato: le patate e i cavalli. Il cavallo protagonista (ma ce ne sono anche altri, due per la precisione) è quello scelto da quel pazzerello di Friedrich Nietzsche per il suo ingresso ufficiale nella follia, anche se questo non sembra averlo scalfito particolarmente: è una ronza testarda e indisponente, che si rifiuta di bere, mangiare e di compiere il minimo sindacale equino - soprattutto nel finale quando si rifiuta di tirare il carretto e delega sfacciatamente il pesante compito alla sfortunata protagonista, la figlia del vetturino. Nel complesso è una bestiaccia che sicuramente meritava il severo trattamento che tanto indignò il filosofo tedesco.

Quanto alle patate, sono un'ottima metonimia per il resto del film: non sono patate fritte, nè pasticciate, nè cotte nel latte e nel burro, nè jacked potatoes e nemmeno modestamente patate prezzemolate. Sono patate austeramente bollite e mangiate con un po' di sale con le mani (scottandosi) dal vetturino e sua figlia. Non si scherza con patate del genere. Infatti, alla fine rifiutano di cuocersi e pongono fine alla tormentosa vicenda.

Il film è organizzato in questo modo: in sei lunghi capitoli - corrispondenti a sei giorni - un vetturino e sua figlia vivono una specie di fine del mondo chiusi nella loro baracca battuta da un ventaccio incessante e arrabbiato, che non piuò non far pensare a Ordet. La loro solitudine è interrotta da due visite: quella di un tizio alla ricerca di grappa che tiene un discorso molto bello sulla meschinità degli uomini e sulla loro impreparazione alla morte di Dio che chiaramente riecheggia passi di "Così parlò Zarathustra" - discorso profondo e genuinamente visionario - e una carrettata di zingari alla ricerca di acqua, che non so se siano delle ombre degli ubermenschen preconizzati dal filosofo ma che sono a mani basse quelli che se la spassano di più nel film.

I principi organizzatori del testo sono il montaggio e la ripetizione: per un curioso artificio ogni singolo capitolo è organizzato in pochi piani sequenza, dando così l'impressione allo spettatore di vivere nel tempo dell'azione. Questo è uno stile di montaggio che il regista aveva già usato nel suo film Satantango, che è anche l'unico altro suofilm che io abbia visto.

La ripetizione, che è una delle basi del linguaggio poetico in genere, contribuisce a creare un principio differenziatore in modo che scene apparentemente uguali possano essere percepite dallo spettatore in modo diverso, creando così una reazione di crescente angoscia e pesantezza.

Insomma, un film profondo e bizzarro ma a suo modo accogliente e benevolo nei confronti di chi lo guarda.

 

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