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The Future

Regia di Miranda July vedi scheda film

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La recensione su The Future

di OGM
8 stelle

L’angoscia di vivere, confezionata nella stoffa multicolore di un eccentrico abito da donna. Se esiste una versione femminile del grottesco, Miranda July la interpreta in maniera estremamente creativa, trasformando il surreale in una variegata amplificazione della sensibilità, che percepisce l’amore e la tristezza, il buffo e  il tragico come uno spettro di stimoli pungenti, che pizzicano l’anima, mentre incantano lo sguardo. Il dolore diventa lo spirito di un fantasy dai risvolti teneri ed epici, in cui l’incombenza della morte assume le vesti di un peluche parlante,  e il male di vivere si esprime tramite la possibilità di fermare il tempo e mettere in moto le onde dell’oceano con la sola forza del pensiero. Jason e Sophie sono due giovani idealisti, che non capiscono il mondo e che, per trovare un senso ai loro giorni, decidono di adottare un gatto randagio, affetto da una grave malattia renale. Sanno che tra un mese,  quando la bestiola sarà dimessa dall’ospedale veterinario ed entrerà a far parte della loro vita, sarà loro richiesto un impegno continuo, e la loro libertà di adesso sarà sostituita da una costante preoccupazione per quella creatura così fragile. Questa scadenza pone loro una sorta di ultimatum, che comprime in quell’arco di quattro settimane la necessità di raccogliere esperienze, godersi la gioventù, realizzare i propri sogni professionali, prima che le priorità cambino per sempre. Tuttavia, quello che avrebbe dovuto essere un impazzimento gioioso e spensierato, si risolve in un abbandono al caso ed alla perdita di senso, in un carpe diem che ha solo effetti paradossali e distruttivi. L’assenza di vincoli destruttura le esistenze dei due protagonisti, che, scegliendo strade autonome e divergenti, si allontanano definitivamente da quello che avrebbe dovuto essere un obiettivo unificante.
è come se, per loro, quell’arco temporale limitato si fosse allargato all’infinito, slegandosi dal conteggio dei giorni, perché basato unicamente sulla soggettiva percezione dei singoli istanti. Questa storia racconta la solitudine che nasce dalla somma di due individualità, quando queste, in un gesto di reciproca generosità,  lasciano, anche solo momentaneamente, che l’altra si sviluppi per proprio conto, che fugga con la promessa di ritornare al momento convenuto. Però l’abolizione della routine, dello stare insieme programmato,  finisce per far uscire entrambi dai binari. Jason e Sophie hanno sopravvalutato, in partenza, la solidità del loro rapporto: quattro anni di convivenza si sono rivelati insufficienti ad impedire lo sfaldamento della loro relazione non appena è venuto meno il collante della consuetudine. I due giovani si sono smarriti, come due omini stralunati in mezzo a un universo pieno di insidie (come quella, onnipresente, della tentazione al tradimento), e traguardi molto più grandi di loro (come raccogliere i fondi per  piantare un milione di alberi a Los Angeles).    Jason e Sophie sono una coppia di Pierrot, due marionette melanconiche, goffe e disarticolate, con lei che non riesce a danzare come vorrebbe, e lui che parla delle pene del suo cuore rivolgendosi alla luna. Sullo sfondo rimane la voce di un gatto con una zampa fasciata, che li aspetta dentro un gabbia, sognando  il mondo di fuori ed il calore di una casa.

è lui, quel pupazzo che gesticola con le zampette mentre il corpo rimane fuori campo, il punto fermo nell’evoluzione del cosmo, l’essere per il quale la relatività non esiste, perché i giorni trascorrono tutti con la stessa velocità, e le regole del ciclo vitale si applicano con inappellabile rigore. Possiamo credere di poterci permettere delle piccole evasioni, convinti di avere alle spalle un robusto passato, e davanti a noi un futuro prestabilito; però le leggi spazio-temporali non vengono sospese per il solo fatto che noi decidiamo di dimenticarle. In The Future, Miranda July, originale regista e brillante interprete del ruolo principale, mette in scena un visionario teatro dell’oblio, in cui l’avventatezza è la saporita sostanza del dramma, che colora il caos con le pennellate dei disegni infantili,  e lo cosparge, anche nei suoi aspetti più amari, dell’inebriante profumo dell’innocenza.

Questo film è stato candidato all'Orso d'Oro al Festival di Berlino 2011.

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