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Misery non deve morire

Regia di Rob Reiner vedi scheda film

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La recensione su Misery non deve morire

di steno79
8 stelle

"Misery" è uno dei migliori romanzi dello scrittore horror Stephen King; nell'adattarlo, fortunatamente lo sceneggiatore William Goldman non ha scelto la via della fedeltà letterale alla pagina scritta, aggiungendo alcune parti come quella dello sceriffo-investigatore Richard Farnsworth, che nel libro non sono presenti. Tuttavia, in questo caso lo scrittore si è dichiarato molto soddisfatto della versione cinematografica. Il film ripropone con buona efficacia la claustrofobia dello scontro a due fra lo scrittore imprigionato in una casa sperduta fra i monti e la sua ammiratrice numero uno psicopatica, ma vi aggiunge la vicenda parallela delle indagini sulla scomparsa dello scrittore per dare un ritmo più cinematografico alla trama, che in King era centrata essenzialmente sullo scontro ossessivo fra i due personaggi. Il regista Rob Reiner aveva già realizzato un pregevole adattamento di un racconto non-horror di King con "Stand by me", e qui ritorna ad ispirarsi con successo alle pagine dello scrittore americano con un thriller psicologico che nel finale si trasforma in un horror abbastanza cruento. Oltre che per la sapienza della sceneggiatura, il film va lodato soprattutto per l'ottima direzione degli attori: Kathy Bates dà una prova impressionante nel ruolo della folle Annie Wilkes, riesce a caratterizzarla come una donna emotivamente fragile, a tratti perfino delicata, eppure capace di arrivare a commettere gesti malvagi e disumani, e lo fa con una naturalezza che non ha bisogno di calcare sul pedale degli effetti: l'Oscar assegnatole appare stavolta meritato. Non bisogna tuttavia sottovalutare l'apporto di James Caan, che trasmette con lo sguardo la sofferenza e il terrore di Paul Sheldon, e che probabilmente avrebbe meritato anche lui qualche riconoscimento dall'Academy; in ruoli di contorno Richard Farnsworth, che sarà l'indimenticabile protagonista di "The straight story" di David Lynch, Frances Sternhagen e una breve partecipazione di Lauren Bacall. Il finale sanguinolento mi è sembrato un pò caricato (ma evidentemente non si poteva non concedere qualcosa alle convenzioni del genere), ma per il resto tutte le scene più "forti" hanno un'efficacia ed un'esattezza nel registro narrativo che non hanno nulla da invidiare ai migliori esempi cinematografici del genere; certo, non si arriva alla perfezione estetica e all'incredibile ricchezza tematica di "Shining", ma probabilmente Reiner non avrebbe neanche desiderato un confronto con Kubrick, mantenendosi su un livello comunque assai onorevole per una produzione hollywoodiana "di genere".
VOTO 8/10

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