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Margin Call

Regia di J.C. Chandor vedi scheda film

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La recensione su Margin Call

di ethan
7 stelle

 

'Margin Call', opera prima di J.C. Chandor, autore anche dell'accurata sceneggiatura (nominata all'Oscar nel 2011), ricca di dialoghi al vetriolo, è un film che analizza in maniera lucida la crisi finanziaria che, partendo dalle grandi banche d'investimento americane, si espanse a macchia d'olio colpendo l'intero sistema economico mondiale, producendo a partire dal 2008 una serie di effetti devastanti in termini di disoccupazione, perdita di competitività, insicurezza e aumento della povertà, che, se nel paese d'origine - stando ai dati macroeconomici più recenti - paiono attutiti, sono ancora lontani dall'esaurirsi nel resto del Mondo e specialmente in Europa, nonostante le molte manovre correttive tentate, che solo il tempo dirà della loro efficacia o meno.

L'esordio di Chandor è un film corale basato su una storia fittizia ma che simboleggia benissimo tante situazioni realmente verificatesi, con migliaia di persone che perdono il lavoro dalla sera alla mattina e con esso, per alcuni le sicurezze di una vita agiata - nei taglienti dialoghi si parla di stipendi da milioni di dollari all'anno guadagnati e poi sperperati come se niente fosse - e per l'impossibilità di arrivare a fine mese, con aziende costruite sul nulla sfaldarsi trascinando nel baratro, con un effetto domino, tante altre e soprattutto tanti piccoli risparmiatori, che costituiscono l'anello più debole della catena.

Il lungometraggio ha il pregio di non addentrarsi troppo nello specifico in una materia a dir il vero incredibilmente complicata anche per gli addetti ai lavori ma comunque delineando un quadro generale della situazione e allo stesso tempo di fornire uno sguardo spietato su un mondo composto in gran parte da 'pescecani' dove il più grande mangia quello più piccolo, in cui cinismo, arrivismo e avidità la fanno da padroni.

'Margin Call' è costruito con uno stile asciutto - quasi il contraltare di 'Wall Street. Il denaro non dorme mai' di Oliver Stone, gran narratore ma dalla vena spesso eccessivamente predicatoria - ed è quasi interamente ambientato in un grattacielo dove, man mano che si sale aumenta il livello delle persone che ci lavorano, passando dai piani bassi dove c'è la manovalanza impiegatizia (Zachary Quinto e Penn Badgley), ai piani intermedi dove convivono quadri che possono già prendere decisioni su tanti altri dipendenti (Demi Moore o Simon Baker), altri che vengono cacciati (Stanley Tucci) fino ad andare più su, ai capi del personale (Kevin Spacey), fino al vertice con amministratori delegati che sono la quintessenza del capitalismo senza scrupoli (Jeremy Irons), che non ci pensa due volte a rovinare qualcuno per il suo tornaconto personale o quello dell'azienda.

Ottima la direzione di tutto il cast, sul quale spicca a mio avviso un grande Kevin Spacey, il cui sguardo angosciato durante il colloquio con il cinico superiore vale da solo la visione del film.

In più di una inquadratura, ciclicamente nell'arco della narrazione, si nota sullo sfondo la parte sud di Manhattan dove è ubicata la Borsa di Wall Street, cuore finanziario di New York (e dell'America), da dove tutta la crisi si è manifestata e ha iniziato a produrre i suoi effetti in tutti i mercati del mondo.

Voto: 7,5.

 

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