Espandi menu
cerca
Che bella giornata

Regia di Gennaro Nunziante vedi scheda film

Recensioni

L'autore

Spaggy

Spaggy

Iscritto dal 10 ottobre 2009 Vai al suo profilo
  • Seguaci 178
  • Post 623
  • Recensioni 235
  • Playlist 19
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi
Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Che bella giornata

di Spaggy
8 stelle

Redigere un’opinione su un film di un artista proveniente dal mondo televisivo non è cosa alquanto facile soprattutto quando si entra in sala con mille interrogativi e pregiudizi su ciò che si sta vedendo. Il film di Zalone, pur non essendo un capolavoro assoluto, finisce con l’essere un buon prodotto di una nuova corrente della commedia italiana che nell’arco dell’ultimo anno ha dimostrato di essere viva. Da “Basilicata coast to coast” a “Benvenuti al sud”, passando per “La banda dei Babbi Natale”, il nostro cinema disimpegnato dimostra di essere capace di far sorridere con intelligenza, senza ricorrere alle trivialità trite e contrite dei cinepanettoni di de laurentiisiana produzione.
 


Per essere obiettivi, bisognerebbe scindere il personaggio dall’attore, Checco Zalone da Luca Medici. È Medici che riesce a reinventare il personaggio di Checco, ormai usurato da “Zelig” e dal primo film “Cado dalle nubi”, cambiandone la biografia ma confermandone linguaggio e comportamento: non più giovane cantante in cerca di affermazione attraverso le sue canzoni farcite di doppi sensi, derivanti anche dalla storpiatura dei vocaboli (se fosse ancora in vita il caro vecchio Totò potrebbe reclamare i diritti d’autore sull’idea) ma un personaggio del tutto nuovo, un giovane con il miraggio del posto fisso, a tempo indeterminato, nell’arma dei carabinieri. 


La scelta dell’arma non è del tutto casuale: nella sua famiglia di chiare origini pugliesi tutti gli esponenti maschili appartengono a forze statali, dallo zio maresciallo dei carabinieri a quello maresciallo della guardia di finanza al padre in forze come cuoco presso i nostri contingenti all’estero (in Iraq, nel momento in cui si svolge il film).  A differenza dei parenti rimasti ad Alberobello, Checco vive con la famiglia a Milano.
 


Bocciato per la terza volta al concorso, il giovane tramite raccomandazioni “ecclesiastiche”, viene assunto come addetto alla sicurezza presso il Duomo di Milano, uno dei possibili bersagli di attacchi terroristici da parte delle truppe talebane di Bin Laden. E i terroristi non tarderanno a palesarsi a Checco attraverso la figura di Farah, giovane maghrebina che illuderà il povero Checco solo per pianificare l’esplosione di una bomba in cima al Duomo, ai piedi della Madonnina.
 


La storia non brilla di certo in originalità ma è il modo in cui vengono trattati i temi che rende il film gradevole, la finta ingenuità condita da elegante volgarità. E di temi ce ne sono veramente tanti ma tutti filtrati attraverso l’occhio del “térun”, il terroncello, che fedele alle proprie origini riporta in terra “lumbarda” abitudini, usi e costumi della sua zona di nascita. Certo, anche qui la tradizione è lunga e si potrebbe far partire da “Totò, Peppino e la Malafemmena” per arrivare a “Benvenuti al Sud”, passando per le commedie di Banfi e Abatantuono e aggiornando le visioni forniteci già da Aldo (Baglio) e (Salvo) Ficarra & Picone (Valentino). Ed è questo refresh che rende l’opera gradevole.
 


Tema portante è ovviamente la diversità, concepita attraverso diverse sfumature.


Tre quarti del film si giocano sulle diversità legate allo scontro tra mondo occidentale e mondo islamico. Al di là dello spunto terroristico sviluppato però senza incupire il film (sarebbero mai credibili dei terroristi che ritardano la loro missione per via di un’abbuffata di cozze?), le concezioni legate alle religioni finiscono per essere annullate. Farah, nonostante non sia cattolica, si ritroverà a far da madrina al battesimo di un cugino e sarà costretta a mangiar panini con la porchetta. Checco invece sarà alle prese con il cous cous e con le lezioni di lingua araba. E il tutto per appianare distanze che alla fine del film non esisteranno più, senza condanne morali su cosa sia meglio e cosa no.
 


E strettamente connessa alla diversità di religione (e alla diversità di concezione tra regioni d’Italia) è la visione della donna. Si sono lette diverse polemiche sui giornali secondo le quali il film sarebbe maschilista per via della cena mostrata nel trailer in cui Checco, difendendo l’autonomia delle donne e condannando le abitudini musulmane, urla alla madre di preparare il caffè immanentemente. In realtà, come viene ben mostrato, il ruolo della donna meridionale è ben diverso da quello che si crede. È una sorta di Giano bifronte: succube e obbediente agli occhi esterni alla famiglia e vero reggente all’interno del nucleo domestico, il tutto per conservare il mito dell’ “omm è omm”.
 


La rimanente parte del film è invece incentrata sulle differenze tra Nord e Sud Italia. Anche qui si potrebbe fare il discorso tra la visione di chi vive il Meridione e le sue concezioni/abitudini e quella di chi invece osserva il tutto dall’esterno. Forze dell’ordine “corrotte”, preti conniventi, piccoli atti criminali fatti passare per normali: regola al Sud, familismo (amorale) e clientelismo al Nord. Uguale invece lo sdegno per il sistema della “raccomandazione”, pratica a quanto pare ormai diffusa ad ogni latitudine e longitudine.
 


È anche chiaro che nel tratteggiare il distacco tra Alberobello e Milano si tocchino elementi entrati ormai nell’ottica comune, come ad esempio le aspettative legate al mondo del lavoro (parlavo prima del mito del lavoro con contratto a tempo indeterminato nel settore pubblico, il cosiddetto “boccone che cade dall’alto” per usare un detto palermitano), la disillusione per il percorso scolastico e universitario, i famosi pranzi fiume durante le cerimonie (per intendersi, si comincia alle due del pomeriggio e si finisce alle due di notte con portate non certo leggere).
 


L’aggiornamento ai nostri giorni viene dato strizzando l’occhio all’uso di Facebook, cogliendo degli aspetti tipicamente ludici del social network, passando dalle “racchie baldracche” ai fotomontaggi dei fusti in cerca di relazione. Così come si viene drasticamente portati con i piedi per terra ironizzando sulla situazione economica: Checco guida una Porsche che va a GPL, il padre di Checco è in missione in Iraq solo per pagare il mutuo della casa, sovvertendo l’idea stessa di missione di pace condita da intenzioni patriottiche.
 


Tutto ciò all’insegna della semplicità e del cinismo, niente complessità o approfondimenti psicologici nei personaggi, si gioca con le apparenze e le paure comuni, si accenna all’amore ma non lo si vive a pieno. Diverse le scene imperdibili: il colloquio per il concorso all’arma, il “rapimento” dell’Estasi di Santa Teresa, la notte passata a cercare il profilo di Farah su Facebook, il divieto di ingresso al Dalai Lama, i consigli di Checco all’amico Giovanni, le gag da slapstick comedy tra Checco e Gismondo (commissario milanese da cui “dipende”), la cena a casa di Checco con gli amici di Farah ospiti e Michele Salvemini, alias Caparezza, che intona “Sarà perché ti amo” e “Non amarmi” (anche qui una velata critica ai giovani musicisti “sovversivi” pronti a vendersi per poco), il discorso che Checco fa sull’eredità del nonno e l’ ”accendi/spegni luce” della nonna.
 


Come già accennato, strepitoso Luca Medici, più politically correct rispetto alle sue apparizioni televisive. Sembra banale notarlo ma Luca non è Checco, anche se spesso si tende a far confusione tra l’attore e il personaggio conclamato.  Impagabili sono Marescotti (nei panni di Gismondo), Rocco Papaleo (nei panni del padre di Checco) e l’odioso Tullio Solenghi (nei panni del vescovo).
 


Forse stonato è il mancato lieto fine romantico (non è un film d’amore ma un film sul cambiamento che l’amore, anche non vissuto, può apportare) ma l’happy end è garantito dalla realizzazione della posizione lavorativa di Checco, divenuto agente della sicurezza del Papa, che ovviamente viene coinvolto nel familismo di Checco nella scena finale.
 


Da vedere per sorridere sui nostri interrogativi e sui sogni da realizzare. Non proprio come un self made man ma come un others’ made man.
 


Memorabile, poi, l’uso della canzone finale che fa da riepilogo all’intero film:
“L'amore non ha religione, nessun confine, nessuna nazione. Nè americano, nè boscevica, l'amore è quando lei ti dà... (quando lei ti da) Eh, quando lei ti dà... (ti dà, ti dà) La vitaaaaaaaaaaa...”

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati