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L.A. Zombie

Regia di Bruce La Bruce vedi scheda film

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La recensione su L.A. Zombie

di supadany
6 stelle

Ecco un film a dir poco spiazzante.

Ovviamente invisibile, ma in questo caso un po’ di ragione c’è, non tanto per la sua natura, quanto perché sarebbe, per forza di cose, stato obbligato a rientrare in un altro circuito visto che è nettissimo nelle sue immagini e che non sarebbe potuto essere apportato alcun taglio, dato che già dura poco e poi si sarebbe dovuto tagliare un po’ tutto.

Uno zombi (Francois Sagat) arriva dal mare e vagando per le strade di Los Angeles cerca cadaveri con cui accoppiarsi attraverso le loro ferite (e non solo).

 

François Sagat

L.A. Zombie (2010): François Sagat

 

Difficile aggiungere altro alla trama, molto spiccia, i significati sono comunque chiari, anzi lo sarebbero stati anche con una minore esplicità.

Senza dubbio è un cinema “povero” per mezzi che destina un occhio di riguardo per l’arte e quindi per le composizioni delle scene.

E’ per questo che lo “salvo”, perché appunto nella sua rappresentazione si nota chiaramente un’idea figurativa che va oltre qualsiasi messaggio o volontà.

Il messaggio è comunque meritevole visto che si guarda alla società che rigetta i corpi che volontariamente genera (niente di più reale), ma è tutto troppo proposto allo sguardo (d’altro canto quando ci sono mille tette ci si lamenta).

Orgogliosamente gay, che naviga a braccio con la pornografia, per quanto è evidente nella sua rappresentazione.

Giusto? Sbagliato?

Mai mi ci metterei a disquisire in tal materia, massimo rispetto per qualunque espressione del proprio essere, però Bruce La Bruce con il suo modo di operare va dichiaratamente da una parte e lì rimane confinato.

Lo fa con arte, ma va (con indubbia sincerità) oltre rimanendo per forza di cose annegato in un minuscolo spazio, per cui è anche meno importante di altri film in ambito omosessuale che senza far vedere molto, anzi quasi nulla, hanno comunque portato in primo piano questo universo con problematica profonde (ad esempio “Angels in America”, 2003).

Un’opera che si merita questo titolo per le scelte stilistiche (evidenti), portatrice di un messaggio, compiuta nel suo volere, ma troppo esasperata per andare oltre (come a mio avviso sarebbe invece stato più giusto).

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