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L'illusionista

Regia di Sylvain Chomet vedi scheda film

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La recensione su L'illusionista

di FilmTv Rivista
8 stelle

Inquadratura immobile, campo lungo, inizia lo spettacolo. La figura allampanata di Jacques Tati, disegnato e diretto da Sylvain Chomet (Appuntamento a Belleville) si muove sul palcoscenico polveroso, e ripete il numero del coniglio nel cappello, dei fiori sbocciati da una manica, delle lampadine intermittenti uscite dalla bocca... L’illusionista è un malinconico omaggio al mondo del vaudeville e ai suoi artisti dimenticati che, come Monsieur Hulot, muto e surreale, sono travolti dalla modernità del rock’n’roll, della Tv, del jukebox. La sceneggiatura, scritta da Tati tra il 1956 e il 1959, è stata “ritrovata“ dalla figlia Sophie e consegnata al disegno animato - più fedele all’originale del cinema live - nei tratti lievi ed eleganti di Chomet, che restituisce il nome originale all’attore regista, Tati Tatischeff, l’“illusionista“ del gesto e della comicità impercettibili. Edimburgo, ricostruita com’era (1959), sontuosa città dal timbro cromatico cangiante, è il set della relazione d’amore di Alice, una ragazzina incontrata in un pub scozzese, e l’artista che trasforma vecchie pantofole in scarpette rosse, abiti demodé in vestitini frizzanti, un po’ come la fata Smemorina di Cenerentola. Chomet cesella i palazzi e le strade, fa di Edimburgo un regno magico, battuto da pioggia d’argento, e muove le sue figurine romantiche, il “papà“ e la “figlia“ che crede nei miracoli mentre tutt’intorno i tempi cambiano, e il pubblico si stanca di vedere il buffo roditore bianco, feroce animaletto, che si divincola, morde e fugge sulle tavole ammuffite del palco. Ma a differenza di Tati, che sapeva interagire con le «diaboliche macchine» della modernità - lo humour nasceva proprio dalle follie dell’ometto maldestro, ripreso poi da Jerry Lewis – Chomet si rifugia nella nostalgia e non coglie le affinità dadaiste tra la gestualità elettrica del “prestigiatore“ e le vibrazioni rock (la band è composta da strafatti e queer). La bellezza del cartoon declina in questa assenza di felicità per le sue stesse fantasticherie. «I maghi non esistono» recita l’ultimo messaggio del Tati di carta, e dire che ci avevamo creduto.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 43 del 2010

Autore: Mariuccia Ciotta

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