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Séraphine

Regia di Martin Provost vedi scheda film

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La recensione su Séraphine

di Bebert
9 stelle

Come i due precedenti film di cui ho scritto, anche questo prende avvio al limitare della Grande Guerra. Siamo a Senlis, pochi chilometri a nord di Parigi e Séraphine Louis (Yolande Moreau) è una donna povera che presta servizio nelle abitazioni di nobili e borghesi. Umili origini e miseria, non scuole d'arte o circoli d'intellettuali - questa la dissonanza - per una pittrice che può ricavare il tempo per l'arte solo la notte e con gran fatica. Cosa la spinge verso la pittura? Una fede inamovibile verso la Vergine Maria che le ha chiesto di farlo, di esprimersi coi pennelli: Séraphine ha i propri segreti tecnici e unisce lo smalto bianco al sangue o alle terre del fiume o alle erbe.

 

Ha anche altri segreti, nonostante la condizione umile ha ambizioni che anche a se stessa fatica a confessare. E' certo infelice, a momenti, ma la natura l'aiuta: gli alberi, l'acqua dei canali che convergono nell'Oise e poi nella Senna sono lì a confortarla e lei ha un contatto fisico, ci parla (anche agli insetti o altre bestiole, parla).


Mi è tornato alla memoria un testo che studiai tanti anni fa, "Posizioni anticulturali", di Jean Dubuffet e c'è questo brano:

L'Occidente ostenta un gran disprezzo per l'albero e il fiume. Detesta somigliare ad essi. Il "primitivo," invece, ama e ammira l'albero e il fiume. Trae un gran piacere dagli sforzi per assomigliare ad essi. Crede in una reale affinità fra l'uomo, l'albero e il fiume. Ha un senso molto forte della continuità di tutte le cose e specialmente della continuità fra l'uomo e il resto del mondo. [...] Il "primitivo" avverte piuttosto l'incertezza della ragione e della logica, preferisce affidarsi ad altre strade per arrivare ad una conoscenza delle cose.
Ecco perché ha tanta stima e ammirazione per quegli stati mentali che noi chiamiamo deliri. Devo confessare che i deliri suscitano in me il più vivo interesse. Sono persuaso che l'arte abbia molto a che fare con i deliri. (1951)

 

Séraphine Louis, incontra casualmente il collezionista e mercante Wilhelm Uhde (Ulrich Tukur), tedesco, vive a Parigi e si occupa dei pittori d'avanguadia: Picasso, Braque e anche Rousseau che non definisce naïf ma primitivo e che è meravigliato alla vista delle piccole tavole che la sua domestica dipinge e mostra con umiltà. Uhde decide di incoraggiare Séraphine per l'evidente talento che presenta e la mantiene economicamente, con l'accordo di una possibile carriera e un'esposizione nella capitale francese.

 

La guerra interrompe tutto e i due s'incontreranno solo nel 1927, lui è tornato in Francia per ricomporre la propria collezione e lei ha lavorato molto, ha dipinto e i quadri sono eccellenti. L'indigenza ha peggiorato il suo stato fisico e mentale, la pittura notturna l'ha consumata ma il suo mecenate ancora l'aiuta. Il riscatto di quest'artista deve arrivare e lei scambia il denaro come un mezzo per essere simile ai ricchi, perché ingenuamente li stima. Il suo non è un affronto fatto di livore (non ha un comportamento che troviamo, in Italia, in Antonio Ligabue - altro grande artista "primitivo" - che ostenta la propria distinzione con rancori inguaribili).

Il resto va consegnato alla visione di quest'opera prima del regista Martin Provost che riesce a bilanciare la biografia con immagini superbe, ambientazioni precise e dirige la protagonista nei contrasti di grazia e goffaggine, tenerezza e collera, fiducia e sospetto... Follia e normalità:

 

"Siamo infine al tema cruciale del rapporto tra malattia mentale e salute, tra follia e normalità. Ancora una volta tutto era stato già contemplato da Freud: la relatività dei due concetti, la loro reversibilità, i vantaggi che possono essere insiti nella nevrosi rispetto a un piatto e banale equilibrio. Ma, ancora una volta, in lui l'acutezza e la lungimiranza del teorico dovevano fare i conti con i limiti professionali del terapeuta e con quelli storici dell'"uomo del suo tempo". (R. Barilli)

 

Provost ci concede solo due oggetti per farne metafora: una sedia in ferro battuto per essere simbolo di una ricchezza esteriore e un grande albero, accogliente e maestoso. Come pensa gli alberi Séraphine Louis? Come li vede?

 

Nell'osservare i suoi quadri, sappiamo che c'è un "modo di stare nel mondo" che permette di dare una proiezione della realtà veritiera e genuina, credibile anche nell'amplificazione smisurata della passione.

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