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La donna che canta

Regia di Denis Villeneuve vedi scheda film

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FABIO1971

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La donna che canta

di FABIO1971
8 stelle

"La matematica, come l'avete conosciuta fino a oggi, ha cercato di fornire risposte certe e definitive a problemi certi e definitivi. Ora state per affrontare un'avventura totalmente diversa: vi troverete di fronte problemi insolubili che vi porteranno sempre verso altri problemi altrettanto insolubili. Le persone intorno a voi vi ripeteranno che la cosa su cui vi scervellate è inutile: non avrete argomenti per difendervi, perchè quei problemi saranno di una complessità estenuante. Benvenuti nella matematica pura, nel paese della solitudine".
[Dominique Briand]


Medio Oriente. La donna che canta si apre sulle note di You and Whose Army? dei Radiohead (dall'album Amnesiac del 2001) e sullo sguardo spento e ferito di un bambino...

1. I gemelli
Canada. convocati nello studio del notaio Jean Lebel (Rémy Girard), Jeanne Marwan (Mélissa Désormeaux-Poulin) e suo fratello gemello Simon (Maxim Gaudette) apprendono le disposizioni testamentarie della madre Nawal (Lubna Azabal), che proprio per Lebel aveva lavorato come segretaria per 18 anni: "Al notaio Jean Lebel: seppellitemi senza bara, nuda e senza preghiere, con il viso rivolto al suolo, spalle al mondo. Lapide ed epitaffio: sulla mia tomba non ci saranno lapidi e il mio nome non sarà inciso da nessuna parte. Nessun epitaffio per chi non mantiene le promesse. A Jeanne e Simon: l'infanzia è un coltello piantato in gola che non si tira via facilmente. Jeanne, il notaio Lebel ti consegnerà una busta: questa busta è destinata a vostro padre. Ritrovalo e consegnagli la busta. Simon, il notaio ti consegnerà una busta: questa busta è destinata a vostro fratello. Ritrovalo e consegnagli la busta. Quando le buste saranno state consegnate ai loro destinatari, vi sarà data una lettera: il silenzio verrà rotto, una promessa mantenuta e sulla mia tomba potrà posarsi una lapide e su di essa il mio nome, alla luce del sole". Jeanne e Simon, sconvolti perchè credevano il padre morto e ignoravano l'esistenza di un altro fratello, non hanno altra scelta che iniziare le ricerche.

2. Nawal
Medio Oriente. I flashback del passato rievocano le tragedie che segnarono la giovinezza di Nawal, dal disonore di una gravidanza nata dall'amore con Wahab (Hamed Najem), un uomo di un'altra religione, ai drammi e le miserie della guerra, fino al suo trasferimento obbligato in città dopo il parto, agli studi e all'inizio di una nuova vita.

3. Daresh
Jeanne, assistente universitaria per il corso di matematica pura del professor Niv Cohen (Dominique Briand), arriva a Daresh, punto di partenza delle sue indagini, la città dove 35 anni prima Nawal si era laureata. Apprende, così, che la madre, ai tempi dell'università, scriveva sul giornale studentesco ed era una fervente pacifista: all'inasprirsi delle tensioni tra cristiani e musulmani, Nawal partì alla ricerca del figlio, affidato a un orfanotrofio, per scoprire che dopo un bombardamento tutta la popolazione di quella zona venne trasferita in un campo profughi.

4. Il sud
Jeanne arriva nel villaggio della madre: la sua meta è Kfar Ryat, la prigione nel sud del Paese dove ha scoperto essere stata rinchiusa Nawal, ma non riesce a scoprire nulla su Wahab, l'uomo che, dalle sue ricerche, ritiene essere suo padre.

5. Deressa
Nawal, sulle tracce del figlio, raggiunse il campo profughi quando ormai era troppo tardi: "Sono arrivata al campo profughi di Deressa subito dopo il massacro. Avevano bruciato tutto: ho cercato mio figlio in mezzo alle pozze di sangue. Non voglio mai dimenticare quello che ho visto e sentito". Nawal, travolta dagli orrori della guerra, abbandonò il pacifismo per schierarsi contro i nazionalisti, sostenitori della destra cristiana: arrestata per aver assassinato il loro leader, venne imprigionata a Kfar Ryat.

6. Kfar Ryat
Jeanne visita le rovine della prigione e scopre altri dettagli: sua madre era "la donna che canta, numero 72", rinchiusa lì per 15 anni, torturata e violentata dal sadico carceriere Abou Tarek (Abdelghafour Elaaziz) finchè non rimase incinta. Poi, dopo il parto, venne rilasciata. A Jeanne non resta che tornare a Daresh, dove vive l'infermiera che fece partorire Nawal, per avere le ultime conferme.

7. La donna che canta
È Nawal. La stessa donna il cui canto, in cella durante la prigionia, mascherava la propria sofferenza e copriva le urla strazianti di dolore delle altre detenute. La donna che, in ospedale prima di morire, confidava al notaio Lebel le sue ultime volontà. La donna che a Kfar Ryat partorì due gemelli...

8. Sarwan Janaan
Simon, nel frattempo, si è finalmente convinto a raggiungere sua sorella e parte per il Medio Oriente con Lebel per riportarla a casa. Lui e Jeanne, poi, apprendono dall'ex infermiera della prigione l'identità del loro vero padre e scoprono che è ancora vivo.

9. Nihad
Ovvero, l'innocenza perduta del figlio di Nawal e Wahab, strappato spietatamente alla sua infanzia e travolto dalla guerra. Nihad è il nome con cui la levatrice, dopo il parto di Nawal, lo registrò nell'orfanotrofio: di lui, poi, dopo i bombardamenti, più nessuna traccia. Simon e Jeanne, grazie alla collaborazione di un collega amico di Lebel, il notaio Maddad (Allen Altman), hanno una nuova pista da seguire ("Quel periodo è una successione di rappresaglie susseguitesi l'un l'altra in una logica implacabile, come in un'addizione"): contattare l'ex capo della resistenza, Wallat Chamseddine, l'uomo che arruolò Nawal dopo il massacro del campo profughi di Deressa. È ancora vivo ed è proprio a Deressa che Simon e Lebel lo raggiungono.

10. Chamseddine
Simon lo incontra da solo, dopo essere stato prelevato dalle sue guardie del corpo, e scopre l'ultimo, agghiacciante tassello del mistero: "Uno più uno fa due, non può fare uno".

Incendies
È il titolo originale della pièce teatrale (2003) del celebre drammaturgo canadese (ma nato in Libano) Wadji Mouawad, adattata per lo schermo da Denis Villeneuve con la consulenza di Valérie Beaugrand-Champagne ("È stato un lungo lavoro passare dalla pagina allo schermo. L’autore mi ha dato carta bianca, la massima libertà. Anche a costo di lasciare solo il titolo o un personaggio, dicendo che il cinema era il mio lavoro, così come il teatro era il suo. È stato il più meraviglioso dono artistico della mia vita, perché in questo modo mi ha dato la possibilità di sbagliare, di distruggere quello splendido capolavoro, dalla grande forza visiva"). La donna che canta (il titolo italiano è preso in prestito da quello di uno dei capitoli in cui è suddiviso il film), ne è la splendida versione cinematografica: candidato agli Oscar 2011 come miglior film straniero (statuetta poi assegnata a In un mondo migliore di Susanne Bier), il quarto lungometraggio del canadese Villeneuve è un'opera intensa e struggente, limpida e rigorosa come un teorema matematico, dove la cristallina purezza formale e la raffinatezza della messinscena (dalla magnifica fotografia di André Turpin alla colonna sonora di Grégoire Hetzel) si fondono con le armoniose geometrie della scrittura. Un film sull'orrore della guerra, ambientato in una delle terre maggiormente straziate dai conflitti (un non-luogo mediorientale mai specificato direttamente), trasfigurando nelle atrocità che si abbattono brutalmente sulla protagonista Nawal (interpretata da una superba Lubna Azabal) e sui suoi figli (straordinaria anche Mélissa Désormeaux-Poulin nei panni di Jeanne) le tragedie di qualsiasi popolo e di ogni vittima: è il Libano della guerra civile, dei rifugiati palestinesi massacrati nei campi profughi, delle rappresaglie musulmane, dei bombardamenti e delle stragi, trasfigurati simbolicamente nella città di Daresh, nel campo di Deressa e nella prigione di Kfar Ryat, ma che potrebbero appartenere a qualunque altro palcoscenico della storia insanguinato da faide politiche o religiose. I continui sbalzi temporali dei flashback scandiscono e regolano le evoluzioni del racconto, ricomponendo soltanto nel finale i tasselli dello sconvolgente mosaico (o gli addendi di un'inesorabile addizione, che Villeneuve, come postulati del suo ineluttabile teorema, ha iniziato ad anticipare sin dall'incipit): sono due rette parallele (una Nawal e l'altra i due gemelli: ancora geometrie e matematica), che attraversano, in tempi diversi ma con identico sgomento, gli stessi luoghi. Il colpo di scena conclusivo, con la soluzione dell’enigma, ovvero la rivelazione dell’incognita dell’equazione ("Uno più uno fa due, non può fare uno"), viene lasciato implodere per rendere più devastante il fallout di disperazione che si abbatte sugli increduli Jeanne e Simon: la scoperta della verità ("La morte non è mai la fine di una storia") pacificherà il loro animo, avvicinandoli, mai come in passato, a una madre che però non potranno mai più riabbracciare (proprio come quelle due rette parallele, che non si incontreranno mai). Il razionalismo matematico dell'approccio (evidente sin nella caratterizzazione del personaggio di Jeanne, che, studiosa di talento, non può che esigere con impassibile ostinazione di scoprire la verità), l'andamento ellittico della rievocazione, la sublimazione catartica della tragedia greca nel finale, le avvolgenti movenze della macchina da presa di Villeneuve e la lucidità di sguardo dell'autore restituiscono, evitando sapientemente ogni facile sensazionalismo (e sentimentalismo) calligrafico, un'immagine straziante e implacabile della sofferenza: esemplare, in questo senso, la figura della protagonista Nawal, che, come ogni vittima della barbarie più atroce, finisce per nutrirsi dello stesso odio da cui è stata divorata. Quell'odio, quella rabbia per i tormenti e le sofferenze subite e nate dall'intolleranza e dal fanatismo (politico, etnico, religioso), che hanno scolpito sul suo volto di donna i segni di un dolore troppo grande per trasfigurarsi immediatamente in perdono, ma che non le hanno impedito di lasciare ai suoi figli quegli insegnamenti per spezzare quella disumana catena.

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