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Scott Pilgrim vs. the World

Regia di Edgar Wright vedi scheda film

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La recensione su Scott Pilgrim vs. the World

di PompiereFI
8 stelle

La sigla introduttiva col logo della Universal, ci mostra subito un lembo sgranato che gira su una musica a 8 bit e ci introduce a un cinecomics senza supereroi, adattato dai fumetti di Bryan Lee O’Malley. Il cambiamento di direzione sembra giovare alla freschezza di un prodotto cangiante come il colore dei capelli della protagonista, Ramona Flowers. A lei rivolge le attenzioni il bassista Scott Pilgrim, interpretato da Michael Cera, il quale cerca di sedurla in tutti i modi, tra onde sonore che sembrano uscite da “Guitar Hero” e colpi di kung-fu.


La pellicola mette in rilievo i tratti grafici che rivestono l’immagine con legende di telefoni e campanelli trillanti, o con barrette a misurare il livello di pipì (onomato”pee”) rimasto in vescica, come fossimo in un bizzarro videogame. Il tutto serve ad accompagnare uno humour spesso irresistibile che ha il pregio di non poggiarsi sempre sulla figura (di)sgraziata dello sfigato di turno. Inventivo e trascinato da effetti visivi sorprendenti, il film è ben diretto da Edgar Wright che fa della filologia una missione, e arrischia (si fa per dire, viste le strizzatine d’occhio a una certa categoria di pubblico) un’opera inusuale che ci parla attraverso convenzioni opportunamente disturbate. Il montaggio sradicante “ritorna al futuro” senza bisogno della DeLorean, mentre le velocissime panoramiche e il supporto di una traccia sonora disarmonica formano un’inconsueta intelaiatura espressiva. Preso dalla voglia di strafare, il regista lavora su immagini scisse, in un gustoso piatto alternativo a quello illustrato sui volumi cartacei, le quali non appaiono mai arbitrarie nonostante il dosaggio possa sembrare sproporzionato; semmai sono le più adatte a svelare l’allegoria del mondo adolescenziale.

Più onirico di “Inception”, più fumettistico dei “cavalieri oscuri” (grazie alla riscoperta dei vari “pow”, “krak”, “smash”), più visivamente originale dell’apatico “300” (Scott ha il contorno affascinante del bianco nevoso dell’odierna Toronto), più musical di “Moulin Rouge” (senza il bisogno di riciclare melodie), “Pilgrim” mescola gare di rock band giovanili con incursioni “fight” tipiche degli scontri alla console. Dall’elenco dei pregi, si può capire come il film possa essere risultato ostico al box office americano: quando mancano accumuli di ferraglie fracassone e dialoghi scemi, dall’altra parte dell’Oceano si irrigidiscono.

Se il fronte espressionistico di Wright avesse retto anche nell’ultima mezz’ora, invece di dar voce a un surplus di scaramucce, staremmo qui a parlare di un piccolo capolavoro. A suo modo rivoluzionario. E alla faccia del 3D.

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