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The Next Three Days

Regia di Paul Haggis vedi scheda film

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La recensione su The Next Three Days

di mc 5
10 stelle

Ero prevenuto piuttosto stupidamente nei confronti di questo film, ingannato da un trailer martellante che da alcune settimane era diventato un tormentone estenuante. Ciò che mi infastidiva era la percezione di "thrillerone patinato" che quel trailer mi comunicava, quindi ero intenzionato a tenermi alla larga da un probabile blockbuster spersonalizzato e prevedibile. Ma poi si sono aggiunti ulteriori elementi che hanno mitigato le mie resistenze. Per esempio l'aver appreso che la regìa era curata da Paul  Haggis, cineasta controverso ma da me sempre molto apprezzato, e poi un paio di belle recensioni entusiaste (anche se per la verità l'accoglienza della critica è stata molto diversificata, quasi divisa a metà). Ed è stato uno di quei casi in cui ho riconosciuto un mio errore di valutazione preventiva. Il film è molto bello, pur con qualche difetto che più avanti approfondirò. Qualcuno lo ha definito, con espressione felicissima, un "thriller d'amore". In sostanza si tratta di un thriller in cui l'azione e la suspense non alimentano meccanicamente lo spettacolo ma sono funzionali alla tesi primaria veicolata dalla pellicola, cioè mostrare fino a quale grado di incosciente follìa può arrivare un uomo quando è totalmente e visceralmente innamorato di una donna. Il punto nevralgico del film è probabilmente il delicato corto circuito tra l'azione del thriller, che peraltro si muove spesso sul terreno dell'inverosimiglianza, e l'umanissimo e straziante sentimento di passione che anima ogni cellula di quest'uomo sconvolto da un evento che si è improvvisamente frapposto tra lui e la sua adorata compagna di vita. Un uomo mite che diventa una furia: beh, è una situazione già vista al cinema. Ma, attenzione, rispetto ai "cani di paglia" o alle "giornate di ordinaria follia", qua siamo proprio da un'altra parte. E qui sta forse uno dei meriti di chi ha sceneggiato la vicenda: nell'aver dribblato lo stereotipo abusatissimo del "cittadino giustiziere che si ribella". No, qui Russell Crowe è, molto semplicemente, un professore universitario che, da un giorno all'altro, si scopre solo, disperato, sfiancato. Un uomo che, allontanato dalla sua "metà di vita", vorrebbe gridare al mondo il suo intimo insostenibile dolore. E visto che ho appena sfiorato elementi primari della trama, vediamo subito come si presenta la storia. Con la premessa che Paul Haggis, sebbene con mano molto felice, si è limitato a mettere mano ad un copione già preesistente, essendo il film il remake americano di una pellicola francese del 2008 che pare, almeno qui in Italia, nessuno abbia mai visto. Il film inizia col piede giusto, una cena tra due coppie, in cui serpeggia un evidente nervosismo a causa di una emergente rivalità fra le due donne presenti e che sfocia in una brutta lite la quale interrompe anzitempo il convivio. La coppia protagonista fa rientro a casa e dopo pochi minuti ha inizio l'incubo. La polizia fa irruzione brutalmente (ma in America usano sempre questi metodi?) nella casa e arresta la donna con l'imputazione di omicidio, lasciando un bimbetto piangente e soprattutto un marito prima allibito e poi scarnificato dal dolore. A tutto questo c'era stato un antefatto, ancora precedente alla suddetta cena, che ci porta sulla "scena del crimine", un'autorimessa deserta in cui una donna viene uccisa e, fatalmente, la nostra protagonista si trovava a transitare in quel luogo proprio nello stesso momento. Ecco, questa è solo la partenza di una lunga storia di dolore, di passione, di fuga e di indagine sui sentimenti che accompagnerà lo spettatore per ben 122 minuti. I miei dubbi "preventivi" su un dramma patinato sono stati fugati fin dalle prime sequenze: in questo film di sofisticato non c'è nulla, anzi si punta al massimo del coinvolgimento. Lo spettatore viene catturato dall'ossessione di quest'uomo che si scopre sperduto e fragile ma che DEVE rapidamente decidere se e come passare all'azione e formulare un piano. Mettetevi nei panni di un uomo normalissimo che si trova al centro di un incubo del genere. E per giunta il suo avvocato lo invita a rassegnarsi, tanta è la mole di elementi che accuserebbero la moglie. Per il "prof." Crowe (è insegnante universitario) inizia una sorta di discesa agli inferi. Egli è infatti costretto a forzare la sua natura di persona tranquilla e a fare passi che mai avrebbe immaginato gli sarebbero toccati in sorte. Per esempio cercare il contatto con un "esperto" di evasioni che gli possa fornire suggerimenti pratici. Oppure dover sbattere brutalmente il muso con la feccia dell'ambiente malavitoso, cui deve ricorrere per procurarsi documenti falsi da poter utilizzare in previsione di espatrio in un paese straniero. Il tutto nell'ambito di un minuziosissimo piano che egli mette in atto per liberare la moglie. Mi sono dilungato fin troppo e mi fermo qui per non togliere piacere alla visione. Ciò che più colpisce della vicenda è il dramma di passione che letteralmente possiede quest'uomo, al punto che la moglie si ha quasi la sensazione che non si renda conto del "delirio d'amore" che muove il suo compagno; la donna appare infatti per lo più stordita da tutto quello che le succede intorno (fra l'altro è anche sofferente di diabete). Gli attori sono tutti bravissimi, anche i ruoli secondari. Russell Crowe si cala nella parte quasi con la tecnica pazzesca del vecchio De Niro. E voglio solo citare una sequenza, quando John (il protagonista) va in carcere per un colloquio con la sua Lara e la trova nervosa e irritata. Lui le dice queste precise parole (con la testa già al piano d'evasione): "Te lo prometto, questa non sarà la tua vita". Ecco: in quell'istante gli occhi di Crowe esprimono tutta la grande forza che un attore formidabile deve possedere dentro ed essere in grado di esternarla attraverso lo sguardo. Elizabeth Banks (la moglie) è bravissima ma al cospetto del gigante Crowe appare per forza di cose in pò in ombra. Da segnalare poi un piacevolmente ritrovato Brian Dennehy e il cameo di Liam Neeson. Intendiamoci, il film non è esente da difetti. Eppure io non ho individuato "errori", ma piuttosto lievi cedimenti imposti da una precisa scelta registica. TEMPI. Certo, appare evidente che rispetto ad un finale concitato, la prima parte lavora su tempi che possono apparire un pò troppo dilatati, ma non dobbiamo dimenticare che il cinema di Haggis è di quelli che non hanno paura di prendersi dei tempi "umani", senza l'assillo che lo spettatore possa annoiarsi, e senza forzare con inutili accelerazioni momenti in cui la vicenda esige pause e riflessioni. INVEROSIMIGLIANZE. Certo, il film ne è pieno. Ma dobbiamo pensare che sempre di fiction si tratta e che di fronte a una bella storia come questa è evidente che necessita un patto tra lo spettatore e Haggis, una complicità che prefigura anche la famosa "sospensione dell'incredulità". Non è la prima volta che càpita al cinema, e non sarà nemmeno l'ultima. PERSONAGGI SECONDARI. Qualcuno ha scritto che i ruoli di Liam Neeson e di  Olivia Wilde (la mamma della bambina) sono incomprensibili e senza senso. A mio avviso invece essi sono stati volutamente lasciati come in sospeso, per evitare dispersioni. Essi servivano a dare due note interessanti di colore, e dunque indagarne le personalità avrebbe creato inutili ramificazioni e sottotrame, quando invece il cuore del film è ben altro. E vorrei concludere accennando al "fenomeno" Paul Haggis. Un cineasta che molti amano (e io fra questi), ma che moltitudini di cinefili detestano. Ricordo ancora che "Crash" venne su molti blog e forum di cinema massacrato con un astio e un livore decisamente inconsueti. E' che i detrattori insistono a rappresentarlo come una sorta di "romantico babbeo" dedito ad un cinema per "mollaccioni" (leggi:"sentimentalismo buonista fasullo"). Ecco, io ribalterei tutte queste  formule improntate al disprezzo e parlerei invece di "profondo umanesimo". Apprezzo infatti di Haggis la sua inclinazione ad indagare sulle curve dei moti dell'anima. Ad approfondire le fragiltà e le speranze di uomini e donne, le loro debolezze e il loro bisogno d'essere amati. Siamo tutti soli, ma nessuno di noi è solo.
Voto: 9/10

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