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Poetry

Regia di Chang-dong Lee vedi scheda film

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La recensione su Poetry

di Peppe Comune
7 stelle

Mija (Jeong-hie Yun) vive insieme al nipote Jongwoook (Da-wit Lee) in una piccola città nella provincia sudcoreana di Gyeonggi. La figlia è lontana e lei cerca di arrotondare i pochi soldi che riceve dal sussidio statale facendo la badante part-time all’anziano suocero della fornaia sua conoscente. È una donna piena di energie Mija, solare e curiosa. Inizia a frequentare con sincera passione un corso di poesia al centro culturale della città e questa esperienza la aiuta a guardare con occhi diversi le cose che la circondano, a dare maggior ascolto alle sensazioni del cuore. Cose che gli potranno servire, perchè, per la fine del corso, ogni partecipante è invitato a scrivere una propria poesia. Tutto scorre tranquillo, ma due fatti imprevisti rompono il suo rapporto idilliaco con il mondo. Il primo, è il ritrovamento del cadavere di una ragazza suicida nel fiume Han e la relativa scoperta del coinvolgimento del nipote, che insieme ad altri cinque compagni di liceo avevano abusato sessualmente della povera compagna inducendola al gesto estremo. Il secondo, è la notizia di essere affetta di Alzheimer. A tarda età può capitare che nel volgere di un breve periodo si è costretti ad affrontare più esperienze di vita di quanto non sia capitato di fare per tutti gli anni precedenti. Questo è quanto succede a Mija, che in un vortice di sensazioni mutevoli si imbatte nella soave bellezza della poesia e nell’orrore che scaturisce dalla gratuità della morte, nello spirito vivo che alberga in ogni abitante del pianeta e in un male che la sta consumando lentamente.

 

 

 

 

“Poetry” di Chang-dong Lee (premiato come miglior sceneggiatura a Cannes) è un film che riflette sul rapporto tra il bene e il male filtrandolo attraverso gli occhi di un anziana signora che ha ancora la voglia di scoprire l’intima bellezza della natura e tutti i prodigi che è sempre capace di regalare. Come per “Peppermint Candy”, a fare da sfondo alle vicende principali è una società tendenzialmente prevaricatrice nei confronti dei più deboli. Ma se nel film precedente Chang-dong Lee era stato più diretto nell’analisi socio politica del paese attraverso uno sviluppo della narrazione che ne faceva intravedere alcuni snodi fondamentali, qui si concentra specificatamente sulla faccia buona della cattiveria, quella che si nasconde subdolamente tra le pieghe del perbenismo borghese e che potendo speculare sulla ricattabilità sociale dei più deboli trova sempre un buon motivo per autoassolversi dalle sue colpe originali. Quella dei padri dei cinque amici di Jongwoook e del preside della scuola che frequentano, pronti a togliere senso al valore della vita con irrisoria facilità e ad assorbire un delitto nel ventre molle del loro spirito di corpo. Si è detto che tutto questo fa da semplice (ma fondamentale) sfondo, che la vera mattatrice è Mija (una straordinaria Jeong-hie Yun), e si è accennato al fatto che inizia a frequentare un corso di poesia. Ma la poesia, si sa, non s’impara. Tuttavia, la frequentazione del corso accende in Mija la voglia di iniziare a guardare le cose del mondo come mai aveva fatto prima, a cercare l'essenza più intima della natura, a coglierne le sfumature più recondite. La scoperta di essere affetta di Alzheimer, il fatto che è destinata a perdere progressivamente la memoria cominciando col non ricordare più i nomi e i luoghi, sembra accrescere in lei l’urgenza di annotare tutte le emozioni nuove che gli capita di provare. Questo, a mio modo di vedere, rende i due aspetti intimamente speculari per il senso della narrazione ed insieme si pongono in posizione antitetica rispetto all’involontario coinvolgimento di Mija nel piano meschino messo a punto dai padri dei ragazzi coinvolti nel suicidio della povera ragazza. Queste "persone per bene", per difendere l’avvenire dei propri figli e il buon nome della loro onorabilità e di quella di un intero istituto scolastico, tentono di comprare il silenzio della madre della ragazza (che è una povera contadina senza più marito) barattando la verità sulle cause di una morte con la falsità di una vita irrimediabilmente corrotta. C’è una sequenza assai emblematica in tal senso ed è quella in cui Mija viene invitata ad andare dalla madre della ragazza per cercare di convincerla ad accettare i trenta milioni di won (cinque a testa) che gli vengono offerti come risarcimento morale per la morte della figlia, in cambio del suo silenzio con le autorità di polizia e con i giornali. Mija ci va dalla madre contadina, elegante come sempre, coi suoi vestiti carichi di colori floreali, ma gli parla di tutt’altro, della bellezza dei fiori e di quando era piccola e viveva in campagna, poi gli chiede come va il lavoro e come si prospetta per quell’anno il raccolto. Quindi saluta cordialmente e se ne va. Si è dimenticata il motivo per cui era andata dalla signora o dalla sua posizione di donna che si è appena riappropriata del potere vivifico della poesia sa riconoscere meglio i contorni dell’orrore ? Io credo che una cosa valga l’altra, perché dimenticarsi di offendere in maniera così subdola la dignità umana e ricordarsi che il senso della vita ha una sacralità che non può e non deve mai essere offesa, sono in fondo due facce di una stessa medaglia. Come le forze che ci vogliono per resistere alle lusinghe di un consolatorio piano riparatore e il tentativo di provare finalmente a scriverla quella poesia, che valga per dare una forma sublime alle sensazioni del cuore e un senso definitivo ad un intera esistenza. O come una roccia su cui possa scolpirsi tutta la verità.

 

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