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Marrakech Express

Regia di Gabriele Salvatores vedi scheda film

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La recensione su Marrakech Express

di maso
10 stelle

Il road movie è un genere che in Italia non ha mai trovato un film che lo rappresenti degnamente se si esclude "Il sorpasso" che è da considerare però più girovago che rettilineo, "Marrakesh Express" è invece il road movie italiano per eccellenza e merita senza dubbio il titolo di cult movie e capolavoro di Salvatores non solo per il risultato finale ma anche per il metodo di realizzazione dal quale è scaturito, tanto avventuroso quanto la storia in esso raccontata.

"Non bastano tutti i cammelli del deserto per comprarti un vero amico" è il proverbio arabo che apre il film su una carovana di beduini nel sole fra le dune, un’immagine reale che si cristallizza sulla mitica copertina di "Caravanserai" dei Santana sotto le note di I'm no more blue di Roberto Ciotti mentre Marco (Fabrizio Bentivoglio) vive la sua giornata solitaria fra lavoro e svago serale, il film è appena cominciato ma si subisce un fascino magnetico e nostalgico per qualcosa di misterioso, forse il richiamo dell'avventura che si presenta sulla porta di casa in una notte di pioggia nelle sembianze di Teresa, una ragazza dal forte accento spagnolo che Marco fa accomodare nel suo appartamento, la ragazza mette subito le cose in chiaro: è un'amica di Rudy, storico compagno di avventure di Marco fuori dal giro ormai da anni, Teresa spiega che Rudy rischia venti anni di galera per possesso di ashish in Marocco e solo i suoi vecchi amici possono aiutarlo pagando una penale di ventimila dollari, la foto in bianco e nero della vecchia squadra di calcetto con Rudy e gli altri della cricca scatena la nostalgia e l'indole da sognatore che c'è in Marco.

L'avventura è appena cominciata perché Marco convoca subito Ponchia e Paolo per discutere il da farsi, nonostante qualche titubanza iniziale si decide di comune accordo di partire attratti dal fascino del viaggio, dal ricordo degli anni spensierati e da un senso di riconoscenza verso Rudy, un sentimento comune fra i suoi vecchi amici che verrà svelato alla fine della storia ma in maniera volutamente poco chiara, come un ricordo in bianco e nero dai contorni sfuocati.

C’è tanta freschezza nelle immagini di questo film che traccia un percorso con il girato di Salvatores in progressione temporale coincidente al viaggio effettuato dalla misteriosa Teresa e i tre amici che raccolgono un quarto membro della vecchia cricca cammin facendo: Cedro che si è isolato in montagna per sotterrare oscuri rancori che verranno fuori anche loro cammin facendo e ovviamente anche per lui il viaggio rappresenta un occasione per risolverli.

La squadra è ricomposta, i soldi sono ben nascosti sotto la jeep messa a disposizione per il viaggio da Ponchia, il fumo lo ha portato Cedro, Paolo aveva impegni con gli alunni la moglie e due bambine piccole, ma non ha potuto dire di no al fascino di questa avventurosa rimpatriata organizzata da Teresa in nome dell’antica amicizia che li lega a Rudy, il membro della compagnia che ha preso il volo mollando tutto ed ora è nei guai….o no?

Il viaggio verso il centro della terra dei nostri improvvisati eroi è un percorso a ritroso nel tempo, da Milano a Sanint Tropez attraverso le Alpi la civiltà si dirada e si comincia a parlare di quei dieci anni durante i quali Marco, Paolo e gli altri si sono visti poco, anzi pochissimo, da quell’ultimo viaggio in Grecia che ha chiuso quel periodo della vita in cui il gruppo di amici è il punto di riferimento giornaliero, e poi da un giorno all’altro ognuno ha preso la propria strada.

Barcellona e la sua movida sono l’ultimo luogo legato alla vecchia Europa dove rubare al supermercato è un gioco da bambini, poi si comincia ad assaporare la polvere sabbiosa dell’Andalusia, anticamera dell’Africa e le sue difficoltà mascherate da un tratto di mare.

Salvatores è stato bravissimo a cuocere a fuoco lento una storia veramente accaduta a un gruppo di amici di Padova che portano i nomi dei protagonisti, in primo luogo svelando poco alla volta i legami ed i caratteri della sua squadra di ottimi attori selezionati in un momento davvero speciale delle loro carriere creando di conseguenza una singolare simbiosi fra il film e la sua realizzazione, sceneggiando la narrazione in sinergia con gli attori protagonisti e la loro maturazione: ogni tappa del viaggio e del racconto corrisponde al programma giornaliero delle riprese, come se si stesse facendo un viaggio tra amici documentato da una telecamera che ci si è portati appresso, infatti la celeberrima scena della partita di calcio fra italiani e marocchini per recuperare il tubo con i soldi è stata veramente giocata con altri risultati alquanto negativi per i nostri colori, le sequenze a Marrakesh sono frutto di riprese abusive che Salvatores ha realizzato senza alcun permesso nascondendo la telecamera nelle tasche dei pantaloni, se i personaggi sono convincenti e alla fine del film c’è una riconciliazione che gli permette di sotterrare antichi rancori lo si deve al fatto che Bentivoglio, Abatantuno, Cederna e Alberti sono amici anche nella vita e sono stati nel film dei veri compagni di viaggio in tutti i sensi.

Tutto è magico in “Marrakesh Express”,  i dialoghi brillanti sono sprigionati da una sceneggiatura vivacissima in cui si alternano continuamente momenti frenetici a pause di riflessione che avvolgono i pensieri dei protagonisti ad altri passaggi di raccordo venati dal tono di commedia che percorre il film dall’inizio alla fine, situazioni spesso accompagnate dalla chitarra blues di Roberto  Ciotti o da altri pezzi storici di mostri sacri come Dalla e De Gregori.

I paesaggi africani e andalusi sono deserti come l’anima dei protagonisti ormai consapevoli che quella coesione ricreata dall’oggi al domani per pura casualità finirà in fretta come la perduta spensieratezza dei vent’anni  ma il film è appena malinconico e parecchio divertente e non so voi ma io erano anni che non mi divertivo così……cos’erano? ANNI che non mi divertivo così….

Le battute del film sono un copione che ti rimane impresso in testa come le parole di “L’anno che verrà” suonata sulla strada del ritorno a casa, dopo che tutto è stato chiarito e quello che sembrava giusto allora può sembrare oggi sbagliato ma quello che allora era sbagliato rivisto oggi è quanto mai più giusto e c'è un nuovo lungo e colorato ricordo da mettere da parte anche se la generazione di Salvatores, Marco, Ponchia e tutti gli altri è effettivamente l'ultima che avrà i ricordi in bianco e nero.

Dvvero un film epocale nel cinema italiano e vero gioiello del Salvatores anni ottanta che rimane per me un regista di grande personalità al quale verrà riconosciuto un indiscusso talento con allori internazionali e grande apprezzamento di pubblico e critica.

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