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Le cinque giornate di Milano

Regia di Carlo Lizzani vedi scheda film

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La recensione su Le cinque giornate di Milano

di lamettrie
6 stelle

Un buono sceneggiato televisivo. Data la complessità del tema, nemmeno sfigura troppo: la ricostruzione storica è corretta, come anche i costumi. Gli aspetti positivi finiscono quasi qui, però: aggiungiamoci la prova di Giannini nelle vesti di Cattaneo, uno dei più ignorati fra i grandi della nostra storia e della nostra cultura; splendide le sue intelligenza e la sua grinta repubblicane e democratiche, come emergono soprattutto dal confronto con il viscido nobile Gabrio Casati, il podestà, opportunista buono per tutte le stagioni, come la sua storia farà vedere anche dopo, con il trasformismo tipico di tanti nobili, disposti a ogni giravolta e ogni vergogna pur di continuare a sperare e a credere in un mondo di diseguali (il mondo della nobiltà, del resto: cioè il mondo dell’ingiustizia sociale a priori). Aggiungiamoci pure la felicità del soggetto, tratto da “Le memorie dei fiumi” di Majellaro, che condisce molto bene la robusta narrazione con le due splendide storie d’amore parallele. Poi arrivano le dolenti note. Per un film del genere, l’allestimento in generale è un po’ grossolano. Le scenografie dovevano essere più corpose, specie quelle degli esterni, come quelle degli interni più umili. La recitazione spesso è da accademia teatrale, troppo impostata (nel senso di chi sta solo imparando a recitare sul serio).

Il messaggio storico comunque passa abbastanza bene: specie nell’odio verso ogni occupante sfruttatore. Qui si ha il coraggio di toccare, dopo il primo notevole esperimento del ’70, un episodio cruciale del Risorgimento che è sempre bistrattato: la rivoluzione dei milanesi. Quasi un ossimoro per un popolo, quello lombardo, abituato a chinar la testa, e a svendere la libertà politica e le dignità in nome della semplice soddisfazione economica, con i relativi quieto vivere che ha quasi sempre accompagnato il conservatorismo lombardo. Infatti bene dice qui Radetzky, che conosce i milanesi, e sa che non potranno mai essere davvero determinati a guadagnarsi la libertà, costi quel che costi.

Almeno qui si sfata un mito del conservatorismo: che quello degli austriaci, in Lombardia dal 1713 al 1860, è stato un buon governo. Tra i governi degli occupanti, quello ha fatto meglio della media, è vero; c’è chi ha fatto molto peggio, ma non è un vanto. Infatti un governo degli occupanti può essere sempre solo un governo da condannare: storicamente e alla luce dei diritti umani, senza se e senza ma. A meno di non essere interessati a collaborare con gli aggressori; o a voler essere aggressori a propria volta. E tanta propaganda, forse la maggior parte, ha trovato guadagni, dall’appartenere o al primo o al secondo caso.

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