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Mine vaganti

Regia di Ferzan Özpetek vedi scheda film

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La recensione su Mine vaganti

di mc 5
10 stelle

Ancora non credo ai miei occhi. Non mi capacito di come un regista possa realizzare film tanto diversi. Ma non solo, com'è ovvio nei contenuti; io parlo proprio della tecnica, dello spirito, dell'impostazione, tutto insomma. "Un giorno perfetto" è uno di quei film italiani che non solo non mi sono piaciuti ma mi hanno proprio fatto arrabbiare. Un film più fastidioso che brutto. Ebbene, oggi Ozpetek esce di nuovo nelle sale con un prodotto semplicemente magnifico. Buon per lui. E buon per noi, che abbiamo sempre fame di buon cinema, soprattutto italiano. Un film che ti prende bene fin dall'inizio. Ma prima di entrare nello specifico, dopo aver comparato Ozpetek a sè stesso nella sua penultima malriuscita produzione, vorrei azzardare un altro accostamento. Lecce. La Puglia osservata oggi da Ozpetek è suggestiva, ricca di antico fascino, di misteri famigliari che si perdono nel tempo. E allora mi chiedo come mai un altro cineasta che, proprio di recente, si è provato a percorrere a ritroso vecchi sentieri di quella splendida regione, abbia mostrato segni di stanchezza e un impatto di scarsa efficacia. Strano soprattutto se si considera che Sergio "uomo nero" Rubini è pugliese sia anagraficamente che dentro l'anima, mentre Ferzan è in qualche modo un apolide. (Del tutto fra parentesi: è imbarazzante e mortificante vedere Rubini fare da special guest nel nuovo schifoso prodotto di Vaporidis, posso capire la "pagnotta" però c'è un limite a tutto). Chissà perchè Rubini fatica ad esprimersi nel suo eterno psicodramma personale pugliese, mentre Ozpetek ci mostra una Puglia da amare, popolata di uomini che amano le donne ma anche altri uomini, una Puglia dove l'Amore e il Buon Cibo, assieme al Sole, ci rendono la vita degna di esser vissuta e goduta. Già, il buon cibo. E quelle tavolate che qualcuno ha contestato a Ferzan accusandolo di riproporle ad ogni piè sospinto in una sorta di fissazione maniacale. Beh, io adoro come lui le tavolate, perchè rappresentano un concetto che attiene a roba tipo (si fa per dire) "il senso della vita". Sì, io penso che l'Amore e il Cibo siano le due cose più d'ogni altra per le quali vale la pena vivere. E credo che anche Ozpetek la pensi allo stesso modo. A questo aggiungiamo il senso del "convivio", di quanto è bello "famigliarizzare" con qualche nuovo amico attorno ad una tavola ricca di buone cose da mangiare. "Socializzare" e "Cibo": due termini inscindibili. Per non parlare poi di "Sesso" e "Cibo", che qui il discorso sarebbe talmente carico di suggestioni da portarci troppo lontano. Mi limito solo a riportare che, nei miei ricordi di gioventù, i momenti d'amore più belli sono quasi sempre stati preceduti e/o seguiti da altrettanti gustosi pranzi e cene. Ma in questo film esiste un altro riferimento, molto in primo piano, al cibo. I protagonisti appartengono infatti ad una famiglia che a Lecce gestisce un'azienda che produce pasta. E io amo infatti interpretare la pellicola anche come una sorta di inno al cibo che io preferisco in assoluto: la Pasta. E qui mi fermo perchè potrei declinare nel delirio, nutrendo io un'adorazione per la pastasciutta che non è molto distante dal desiderio "carnale" che si può provare per un sontuoso corpo femminile. D'altra parte (mie follìe a parte) qualcosa mi suggerisce che questo "argomentare" sul significato sensuale del cibo sia anche nelle corde dello stesso Ozpetek. Nel film troviamo suggestioni e tentazioni da commedia all'italiana, con tanto di caratteristi (stre-pi-to-si !!), ma poi ci pensi  e consideri che la commedia all'italiana è un'altra cosa. Una sorta di mèlò molto moderno, allora? Uhm, non ci siamo. E se la verità (troppo pretenziosa?) fosse che Ozpetek con questo film (certo, senza creare nulla di nuovo) avesse inaugurato un proprio filone personale in ambito di cinema italiano? Diciamo un genere romantico-grottesco-malinconico che io, francamente, per ora, non riesco ad accostare a nessun'altra esperienza nel panorama nazionale. Vorrei anche precisare la mia posizione complessiva riguardo all'insieme della produzione di questo regista, premettendo che, data la mia lacunosa conoscenza del "mondo di Ozpetek", quello tra me e "Mine vaganti" possa considerarsi come un "colpo di fulmine". Non ho infatti visto il suo cult "Le fate ignoranti" di cui tutti dicono un gran bene. Ho poi volutamente evitato quello che in molti giudicano il suo peggior film, "Cuore sacro", che si contende questo triste primato con il pessimo "Un giorno perfetto". Ho visto "Saturno contro" (che mi ha lasciato parecchio perplesso) e "La finestra di fronte" (di cui invece conservo un buon ricordo). Di questo film appena arrivato nelle sale ho apprezzato soprattutto quel vento leggero che amabilmente lo pervade, una leggerezza deliziosa che permea perfino i momenti più malinconici e struggenti. Ecco, ci sono dei momenti in cui si realizza un corto circuito tra leggerezza e malinconia che emette davvero scintille, come quel finale dove il funerale si trasfigura in matrimonio con esiti e suggestioni (anche musicali) che evocano qualcosa di ancestrale e di magico. E anche la rappresentazione di legami d'amicizia e di famiglia sembra vedere un Ozpetek rinato, un Ozpetek leggero, gustoso, popolare, finalmente sfrondato da ambientazioni e caratterizzazioni che ne appesantivano le ultime tendenze. L'omosessualità non più vissuta quale ghetto intellettuale da vivere come orgogliosa letteraria dannazione, ma omosessualità diffusa, spalmata nel quotidiano con desiderio di normalità. Scamarcio e Preziosi sono infatti due gay così normali che più non si potrebbe, sono persone in mezzo ad una comunità di persone. Ed è bello vederli rispettivamente innamorati senza nessuna sottolineatura "particolare" o pepata. Due persone tranquillissime, come sono poi nella realtà la gran parte degli omosessuali, cioè persone capaci di slanci amorosi come tutti noi, etero od omo chissenefrega. Il che poi coincide col mio sguardo generale sull'omosessualità vista con gli occhi di chi è "etero". Nel senso che ho la massima stima e rispetto dei tanti gay che vivono normalmente la propria quotidianità, senza clamori, mentre detesto coloro -come certe casarecce Drag Queen- che riducono il loro stato ad una teatrale pagliacciata che in molti casi diviene perfino molesta e fastidiosa. E adesso vorrei ripercorrere, in ordine un pò sparso, le sequenze del film che più ho apprezzato, quelle che coincidono con momenti che mi hanno fatto stare bene a livello di emozioni. Prendiamo per esempio la scena che, pur collocata all'inizio, è forse quella "centrale" del film, cioè la tavolata in cui Preziosi fa "outing" sconvolgendo quasi a morte il padre e sconcertando i commensali. E' una scena girata magistralmente. Prima di tutto (ma questa è caratteristica comune a tutte la altre tavolate presenti nel film) questo modo di usare la macchina da presa ruotando in circolo attorno alla tavola producendo un effetto efficacissimo, e poi i tempi con cui la macchina stessa riprende i volti dei diversi commensali. A questo aggiungiamo l'espressione di Preziosi mentre scandisce le sue "pesanti" parole, e il gioco è fatto, a definire una sequenza memorabile. Poi, ancora all'inizio, la confessione di Scamarcio al fratello del proprio stato di omosessuale: ecco, lì i due attori nello scambio di battute e soprattutto di sguardi, nel meccanismo di botta e risposta pacati e sereni, sono bravissimi entrambi, proprio per la naturalezza che essi (per tutto il film) attribuiscono alla loro condizione. Ad un certo punto, con l'entrata in scena dei quattro amici romani gay di Scamarcio, irrompe nel film una irresistibile ventata di umorismo e di ilarità che riesce a restituirci (merito di Ozpetek) i lati spiritosamente teatrali e simpaticamente caricaturali dei quattro brillanti personaggi senza mai scadere nel cattivo gusto: anzi, i quattro gay vengono rappresentati caricando la loro sventata "gaiezza" di una umanità che è al contempo deliziosa e profondamente dignitosa. Divertentissima poi la trovata di giocare sul filo dell'equivoco la loro simulazione di essere eterosessuali, con gag annesse e connesse. E qui ci si ricongiunge a quel concetto di "naturalezza" cui prima accennavo: quei quattro "birichini" gay che nella loro intimità si divertono a giocare e a teatralizzare le loro tendenze, nella vita di tutti i giorni sono avvocati, informatici, stewart...uomini che vivono la loro quotidianità senza essere "marziani" in un mondo di "terrestri". Avverto poi il bisogno di tributare il mio personale affetto al personaggio messo in scena da (una stra-or-di-na-ria!) Ilaria Occhini. L'anziana nonna saggia è il personaggio più bello del film, senza alcun dubbio. E mi ha fatto naturalmente pensare ad un altro ruolo altrettanto intenso ed emozionante, per certi versi analogo: quello di Amanda Sandrelli nell'ultimo capolavoro di Paolo Virzì: due ritratti di anziane signore talmente (e sontuosamente) carichi di umanità da meritare premi, coppe, riconoscimenti, ovazioni ed applausi. E, se proprio vogliamo sfiorare la polemica, finalmente due rarissime occasioni cinematografiche per dare modo a due magnifiche donne in età matura di sfoggiare il loro ancora intatto talento d'attrici. Ancora a proposito della Occhini, c'è in questo film una sequenza che non mi ha impedito di trattenere le lacrime. Immaginatevi questa anziana signora che ha vissuto tutta la sua vita coltivando come un fiore un intimo segreto d'amore che qui preferisco non svelare, questa signora ormai stanca di tutto, ma serena e dignitosa anche di fronte ad una malattia che la sta consumando, che decide lei stessa di andare incontro alla morte in un modo inconsueto, che implichi anche la voglia di concedersi un ultimo piacere, un ultimo "mordere" e "assaporare "la vita. Io quando l'ho vista sola, davanti ad uno specchio, truccata ed elegante come si va ad un appuntamento importante...non ce l'ho fatta e ho pianto. E poi ci sono le immagini conclusive, in cui un sommesso e dignitoso funerale che attraversa le strade della città, vede aprirsi uno squarcio inatteso che ci trasporta al centro di un ballo popolare collettivo per i festeggiamenti di un matrimonio. In modo che il cerchio si chiuda e che la sposa che abbiamo visto carica di dolore nei primissimi fotogrammi del film, trovi una sua quieta deriva in quella corale sequenza finale, sottolineata da una travolgente canzone gitana. E concludo citando un cast tutto all'altezza. Riccardo Scamarcio sorprendente, quasi "miracolato" da una interpretazione coi toni giusti, davvero azzeccata. Alessandro Preziosi: altra sorpresa; trattenuto, misurato, semplicemente perfetto. Carolina Crescentini: attrice che non ho mai finora apprezzato, qui è splendidamente carica di sofferenza e di profonda umanità. Ennio Fantastichini: non ho parole per decrivere la sua performance; lui, da attore navigatissimo, qui attinge da tutto il suo bagaglio d'esperienza e mette in scena l'ira, l'ipocrisia, l'eccitazione, il grottesco e tante altre sfumature in una sintesi magistrale. Elena Sofia Ricci: brava in un ruolo decisamente curioso, quello di una sorta di zitella ninfomane e che si ritaglia uno spazio originale in una ipotetica galleria di singolari personaggi della commedia all'italiana. Nicole Grimaudo. Non solo brava nel suo "compitino" di bella ragazza viziata e aggressiva con risvolti di dolente solitudine, ma molto di più: basta osservarla nei numerosi primi piani che la ritraggono nei dialoghi, molto ravvicinati e intimi, con Scamarcio. In quelle inquadrature vediamo i suoi occhi (specie quando sono lucidi)  immensamente carichi di una espressività disarmante; davvero, per come la ricordavo io, la Grimaudo non me l'aspettavo così intensa. Detto dell'ottimo cast, devo però aggiungere una cosa, che peraltro mi preme parecchio. Vale a dire un omaggio ai tantissimi personaggi minori, a quei volti d'attori che Ozpetek ha scelto con sapienza, e che tutti (tutti!) contribuiscono alla coralità dell'opera. Ma attenzione: prima ho sbagliato a definirli "caratteristi", mi sembra quasi di averli offesi, sono proprio ottimi attori, capaci di fare la differenza, anche con una partecipazione di pochi minuti...ne cito uno solo per rappresentarli tutti: quel fantastico attore di teatro che è Massimiliano Gallo, qui nel ruolo di Salvatore, l'operaio napoletano. Piccolo inciso per il commento musicale. Qui dovrei aprire una parentesi personale (cosa che non farò per evidenti ragioni di spazio) su Nina Zilli, interprete delle "sigla" del film, "Cinquantamila lacrime". Nina ha di recente acquisito una qualche notorietà con la partecipazione all'ultimo Sanremo, ma in realtà si tratta di un'artista eccellente, e posso garantirlo visto che la seguo con attenzione da tempo, e dunque so della sua passione per la musica soul e rhytm'n'blues e conosco l'energia che esprime nei concerti dal vivo con la sua band. Vorrei concludere ripetendo una frase già espressa prima, perchè mi sembra sintetizzi lo stile del film: la cifra primaria di questo film è quel magico corto circuito che Ozptetek realizza tra Leggerezza e Malinconìa. Assieme a "La prima cosa bella" di Virzì, i due film-commedia italiani più belli degli ultimi tre-quattro anni.
Voto: 10

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