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Il segreto dei suoi occhi

Regia di Juan Josè Campanella vedi scheda film

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La recensione su Il segreto dei suoi occhi

di pazuzu
10 stelle

C'è eros, c'è pathos, c'è thanatos, c'è tensione, c'è un mistero (non tanto da risolvere quanto da disseppellire), ci sono personaggi a tutto tondo, con un cuore che pulsa, alla ricerca di un senso da dare alla loro vita e ad un omicidio che gliel'ha cambiata per sempre. C'è proprio tutto in questo grande esempio di cinema classico, un film da vedere e rivedere, che apre il cuore e la mente.
Il 21 giugno 1974 Liliana Colotto viene stuprata e massacrata in casa sua: l'indagine, inizialmente liquidata in quattro e quattr'otto da agenti interessati a dare al pubblico una soluzione plausibile seppur non veritiera, viene ripresa con dedizione e passione dall'assistente del Pubblico Ministero Benjamin Esposito (il bravissimo Ricardo Darín), ma gli esiti sconcertanti lo costringeranno, a 25 anni di distanza, ormai pensionato, a scriverne un libro per esorcizzarne la frustrazione, tornare a ricollegare i fili del caso, e cercare di riprendere quelli di una vita, la sua, che da allora s'è fermata e svuotata.
A fare de Il segreto dei suoi occhi un film notevole sono i particolari, a partire dagli sguardi: quello amaro e vitreo di Benjamin, inaridito da un'esistenza fatta di sconfitte e rimpianti, quello caldo ma severo della bella Irene Menendez Hastings (Soledad Villamil), sua diretta superiore, già promessa sposa ad altri ma destinata a scavare nel suo cuore un solco profondo come un amore impossibile, quello sfacciato ma pericolante di Pablo Sandoval, ufficiale perennemente ubriaco e (quasi) inetto che con Benjamin fa coppia fissa, quello accecato dall'odio di Ricardo Morales, giovane vedovo capace di amare fedelmente il ricordo di un ricordo, quello terrorizzato della moglie Liliana Colotto, immortalato nella mente di chi l'ha vista massacrata a 23 anni, e quello morboso e impenetrabile del laido Isidoro Gomez, il presunto colpevole. Sono sguardi che trasudano emozioni, che fanno male, che restano dentro, che non hanno bisogno di parole.
L'argentino Juan Josè Campanella, sceneggiando l'omonimo romanzo di Eduardo Sacheri insieme all'autore stesso, sviluppa in parallelo il racconto attuale con l'indagine passata, donando solidità ed amalgama ad eventi spalmati in un quarto di secolo, e realizzando un film stratificato in cui l'insostenibile pesantezza di un amore solo immaginato sovrappone il mélo al passo dolente del noir, il tutto impreziosito smorzato e alleggerito prima da una sana dose di ironia, per essere sommerso poi, quando proprio non c'è più nulla da (sor)ridere, da un crescendo di emozioni che conduce senza fiato al bellissimo finale. Ulteriormente arricchita dalla fotografia calda e densa di Félix Monti, dominata da tonalità giallo ocra, l'opera di Campanella (Oscar come miglior film straniero 2009 davanti agli ultimi Haneke e Audiard) tocca punte di eccellenza in scene di indimenticabile potenza come lo spericolato piano sequenza girato allo stadio: 5 minuti di adrenalina pura posti al centro esatto della pellicola. Roba da spellarsi le mani. Siamo dalle parti del capolavoro.

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