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La prima linea

Regia di Renato De Maria vedi scheda film

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La recensione su La prima linea

di mc 5
8 stelle

Due i pensieri che mi ronzavano in testa all'uscita dalla sala. Prima di tutto che questo film andrebbe proiettato in visioni particolari riservate alle classi scolastiche. E poi che non riuscivo a liberararmi da una cappa d'angoscia che si era impossessata di me. Sì, perchè dire che questo è un film che fa riflettere è dire troppo poco: si tratta di un'opera che ti costringe a fare i conti con un periodo storico-politico, ti ci fa sbattere la testa contro, brutalmente, e alla fine ti ritrovi a un rendez-vous frontale con la tua coscienza, insomma non puoi fare a meno di prendere una posizione o quanto meno di farti un'idea. E qui mi ricollego al primo pensiero che avevo espresso: gli adolescenti di oggi DEVONO sapere, non possono permettersi di ignorare quel periodo buio, proprio per raggiungere la consapevolezza che l'opposizione politica e ideologica, quando deraglia dai binari della democrazia ed occupa i territori oscuri della violenza nascosta, mimetizzata, anonima e vigliacca, non è più opposizione ma è delirio e follia. Certo, non è che mi faccio illusioni, oggi i ragazzini sono più inclini a salire sull'ottovolante digitale di "2012" e le ragazzine a farsi sconquassare gli ormoni dai vampiri fighetti di "New Moon"...ma mi auguro di cuore che i bei volti imbronciati di Scamarcio e della Mezzogiorno possano conquistare l'attenzione anche di qualche adolescente. Parlavo di una percezione di angoscia, e qui lo confermo. Chi, come me, ha vissuto quegli anni in età già consapevole, non può non sentirsi, di fronte a certe immagini, "mangiare lo stomaco" da un infinito senso di malessere. E non sono solo le immagini. Ci sono frasi, in questo film, tantissime frasi, che ho trovato meravigliose, perchè, a volte buttate lì distrattamente, a volte scandite con enfasi, nella loro semplicità e chiarezza, riescono ad esprimere tutto il senso, tutta la follia, di un fenomeno allucinante come fu il terrorismo rosso in Italia a cavallo fra gli anni '70 e gli '80. Chiedo scusa se sembrerò eccessivo, ma certe farsi mi riecheggiano nella mente come un martello, certe parole mi hanno procurato una reazione emotiva che mi ha fatto stare davvero male, generando in me un disagio quasi insostenibile. E ancora mi chiedo: come si può giustiziare un uomo, sparargli abbattendolo, per poi, vedendolo agonizzante a terra, prima di colpirlo ulteriormente alle gambe avere anche il coraggio schifosissimo di fargli un discorsino politico, tanto perchè lui sappia il motivo di quella "sentenza"...Dio, che orrore!! Di omicidi di questo tenore nel film ne vengono mostrati un paio (terribili!) e di tanti altri si fa cenno. E queste "esecuzioni" si vedono nel film messe in atto non solo nei confronti dei "nemici del popolo" (per lo più giudici, dirigenti d'azienda e giornalisti) ma anche verso elementi del "gruppo" che avevano cominciato a "parlare", quando ormai il fenomeno aveva iniziato la sua china discendente. Il personaggio di Susanna Ronconi, lo dico sul serio, mi fa davvero paura. E lo dico riferendomi non alla sua rappresentazione nel film ma alla sua vera persona. Perchè lei -come documentato nel film- non ha mai avuto un dubbio, mai, sempre "fedele alla linea" che si è imposta. Una vera soldatessa. Una donna normale, una bella ragazza, che ha fatto però un giuramento: quello di dare un seguito pratico al suo odio. Per lei è un dogma, una Verità Rivelata, una mistica, una Fede. E quando Sergio Segio matura seriamente i primi dubbi e le prime perplessità, e glieli confida molto pacatamente, lei lo scruta intensamente, come volesse coi suoi occhi penetrare quelli di Sergio (la Mezzogiorno ha qui certi sguardi di una espressività quasi disturbante), e reagisce con estrema stizza. Già, perchè lei è un soldato in guerra, e la guerra ESIGE cadaveri e vittime...dunque non se ne parla nemmeno di rifletterci su. Ricordo ancora le parole semplicissime ed inequivocabili che Sergio rivolge a una Susanna sorda e irremovibile: "Sono stanco di questa vita. Usciamo di casa la mattina presto e ritorniamo come FANTASMI". E prosegue confessandole che ha visto in faccia il fallimento di un progetto, e ancora che è STANCO di vedere a terra gli occhi sbarrati di uomini assassinati o feriti e che quegli occhi gli pesano dentro sempre di più. Ma le cose più belle appartengono al personaggio che più ho amato di questa pellicola, Piero, il gestore di un bar, figura adorabile di un povero cristo, uno che ha partecipato al periodo pre-terrorismo, uno che ha combattuto (attraverso volantinaggi, picchetti e cortei) per ideali che non ha mai rinnegato, ma che se ne è tirato fuori non appena ha visto crescere intorno a sè l'ala violenta e armata del movimento. Piero (che peraltro da quanto ho capito è un personaggio inventato dagli sceneggiatori) è dolcissimo con la sua costernata disperazione nel vedere il suo più caro amico buttare via la propria vita rendendosi autore materiale e complice ideologico di brutali agguati omicidi. Piero è un simbolo bellissimo di come la fede in un ideale politico può non essere rinnegata pur ponendo come condizione imprescindibile il rifiuto di armi e violenza. Già, diceva bene Sergio: "FANTASMI". Questo erano diventati. Eppure loro erano ragazzi, con carne e sangue palpitanti di vita, non Fantasmi di Morte quali avevano scelto di essere. E quel discorso appassionato, colmo di dolore, che Piero fa a Sergio chiusi dentro il bar, è il monito più potente contro la follia di chi ha scelto di vivere nell'ombra di un esercito sotterraneo di Fantasmi...Piero dice: "Ma svegliati Sergio...guardati intorno! Dietro di voi non c'è nessuno...Siete soli, la gente non vi capisce e non vi segue. Voi vi sentite la PRIMA LINEA di un corteo che NON ESISTE!". E poi vorrei accennare ad un altro capitolo di cui si parla troppo poco. Si discute molto dei parenti di quelle vittime disgraziate, ma non si parla mai della tragedia in cui quegli assassini hanno coinvolto i propri famigliari, precipitandoli in un abisso di dolore. A questo proposito, è emblematica la figura del povero padre di Sergio, un cristo di operaio bastonato dalla vita, umile e buono, uno di quelli -attenzione!- in nome e per conto dei quali il figlio ammazzava la gente. Rendendo a lui, e a quelli come lui, il peggiore dei servizi possibili. Questo bel film, che ti scalda e ti accende pur nel suo stile assolutamente gelido, ha avuto una genesi e un percorso dominati da un clima opprimente, del tutto privo di serenità, a causa di polemiche nate ancor prima che ne iniziasse la lavorazione. Ne faccio solo un breve cenno, la materia è talmente squallida che non meriterebbe neppure un commento. Il Ministro della Cultura (il noto "servo" che si diletta di poesia) ha detto che "un film che parla di terrorismo non merita i finanziamenti dello Stato", generando la (giusta) reazione piccata di Andrea Occhipinti (Andrea, sei un grande!!), il direttore della Lucky Red che ha coprodotto il film insieme ai fratelli Dardenne, il quale ha deciso di rinunciare a quei fondi statali. Del resto, che dire, QUESTI sono gli uomini che occupano le posizioni di comando (dal citato "poeta" a quell'altro terribile "piccoletto"): uno più arrogante e "decisionista a sproposito" dell'altro. Renato De Maria ha realizzato il suo miglior film, un drammatico e tremendo atto d'accusa verso il terrorismo (HA CAPITO, SIGNOR MINISTRO?), mostrandone la spietata cupezza e la mancanza di respiro (umano e politico). Da segnalare la cura particolare profusa nei minimi dettagli da De Maria nel mettere in scena la lunga sequenza "centrale" del film, quella dell'evasione delle detenute dal carcere di Rovigo, sequenza costruita secondo un bel crescendo di tensione, quasi da action-thriller. Un doveroso riconoscimento ai due ottimi protagonisti. Scamarcio si mostra decisamente all'altezza, cupo e gelido come si conviene, fermo restando che un giudizio complessivo sull'attore è sospeso, considerando che la sua filmografia è costellata di alti e bassi (alcuni molto bassi, tipo un imbarazzante Costa Gavras e un terribile Veronesi). La Mezzogiorno invece non lascia dubbi di sorta: è assolutamente perfetta e, dopo il trionfo con Bellocchio, si cimenta con un'altra interpretazione straordinaria (so di ripetermi, ma osservate i suoi occhi nei momenti più tesi del film: comunicano ancor più delle parole!). Difetti? uno (veniale) mi sento di rilevarlo. La sceneggiatura saltabecca con frequenza disponendosi su vari spazi temporali; ecco, ho avuto l'impressione che la distinzione fra questi diversi piani non sia sempre chiara, generando qualche possibile confusione. Concludendo. Non certo un capolavoro, ma credo che, in ambito di cosiddetto nuovo cinema italiano, d'ora in poi questo sarà un film imprescindibile.
Voto: 9 e 1/2

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