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Hachiko. Il tuo migliore amico

Regia di Lasse Hallström vedi scheda film

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La recensione su Hachiko. Il tuo migliore amico

di mc 5
4 stelle

Ero fermamente deciso a non farmi influenzare da quel paio di recensioni pubblicate in anteprima e che avevano letteralmente fatto a pezzi questo film. E inoltre in cuor mio non potevo rassegnarmi all'idea che la benemerita Lucky Red di Andrea Occhipinti avesse potuto fare un altro passo falso dopo il flop del mediocre remake di "Fame-Saranno famosi". Io, insomma, ce l'ho messa tutta. Adesso, superata la prova della visione, posso affermare che il film pur non essendo inguardabile, è comunque bruttarello. Non ho detto "bruttissimo", ma "bruttino", questo sì. Anche se, nel coro di ulteriori stroncature che la pellicola ha nel frattempo collezionato, poche in effetti riescono ad argomentare quali siano i veri problemi alla base di un'operazione del genere, preferendo spesso infierire quasi sadicamente sul film, in qualche caso con una severità eccessivamente spietata. Quanto poi alla percezione del pubblico, chiaro che il film funziona. Per forza. Un film fatto apposta per strappare fiumi di lacrime, costruito solo per questo fine, secondo un infallibile meccanismo ad orologeria, per giunta collocato nelle sale in occasione delle Festività di fine anno, non può permettersi di fallire l'obbiettivo. Infatti il pubblico reagisce commuovendosi. Bersaglio centrato. Ma verrebbe da dire "Così non vale, così è troppo facile". La vicenda? beh, date un'occhiata al manifesto ufficiale del film: in quell'immagine di Richard Gere con accanto il cagnolino è già sintetizzata tutta la sceneggiatura. A parte lui che gioca col cane, nel film infatti non c'è nient'altro, non succede assolutamente nulla, se si esclude la morte per infarto di Gere, che arriva comunque precisamente a metà film, all'inizio esatto del secondo tempo. Tranquilli, non è uno spoiler, almeno io non lo ritengo tale, dato che questo (unico) snodo narrativo viene riportato in tutte le recensioni che ho letto. Qualche buontempone in vena di facezie ha perfino insinuato che il cane protagonista recita meglio di Richard Gere. Non date retta, anzi, ho trovato il buon Richard molto in forma, e assai credibile per quel ruolo. E c'è buona alchimia anche fra lui e la solita brava Joan Allen, nel ruolo della moglie prima innamorata e poi affranta dal dolore. Ma anche i personaggi secondari (un capostazione e un venditore di hot dog) se la cavano molto bene, sfoggiando puro talento da caratteristi. Fermo restando che -va da sè- i più bravi di tutti, le vere star, sono i due o tre cani utilizzati dalla produzione per rappresentare il protagonista indiscusso: Hachiko. A testimonianza dell'infallibilità del meccanismo emotivo accuratamente orchestrato, non ho difficoltà ad ammettere che un paio di furtive lacrime sono scappate anche a me: d'altronde sfido chiunque a guardare per più di un minuto il musetto di quel cagnolino senza sentirsi smuovere il magone dentro. L'ondata di tenerezza si trasforma allora in un assalto a cui non si può umanamente opporre resistenza. Come in tutte le favole buone (solo che questa è autentica, non è una fiaba!) è presente in filigrana un bel messaggio morale, anzi diciamo che esso alla fine risulta forte e chiaro: la fedeltà di un animale verso il suo padrone può raggiungere vette impensabili, perchè quel cane non chiede null'altro che un reciproco scambio d'amore eterno, esclusivo e senza condizioni. E la fedeltà reciproca che tale rapporto implica sottende una specie di giuramento non scritto che non avrà mai scadenza tanto che esso sopravviverà anche alla morte di uno dei due "contraenti". Belle parole, eh? Parole impegnative, che vanno ben oltre la "favoletta edificante" e che investono concetti quali il rigore morale e (perchè no?) perfino principi filosofici (non a caso, forse, la prima immagine del film ci mostra un monaco tibetano...). Ciò detto, dopo aver riposto i fazzoletti ancora umidi nelle tasche, non possiamo esimerci dall'osservare tutta la faccenda un pò più "in prospettiva", ispirandoci a criteri di razionalità ed assumendo il giusto distacco che una valutazione critica ci impone. Ed è a questo punto che, grattando la superficie, esce fuori l'essenza di un bel pacchetto natalizio, infiocchettato come si deve, ma alla fine, scartato l'involucro, ciò che resta è un oggettino dalle dimensioni assai modeste. Sapete qual'è il problema principale di questo film? La durata. Perchè sul contenuto io accetto tutte le opinioni, anche quelle positive (la storia è indubbiamente suggestiva, e soprattutto non inventata), ma tuttavia io ritengo che chiunque -se è onesto- non può non riconoscere che tutto il secondo tempo di questo film è pesantissimo, noioso e sostanzialmente inutile. Siccome la vicenda narrata è talmente bella che meritava di essere "ricostruita" e messa in scena, io ne riconosco il valore, ma avrei preferito magari un bel documentario su quel meraviglioso cane. Oppure (ipotesi già meno praticabile) un "corto" di mezz'ora. Ma così proprio non ci siamo. Ribadisco il concetto: il secondo tempo è tutto una estenuante ripresa delle camminate del cane verso la stazione e delle sue lunghe immobili attese sotto pioggia e neve. Ma come può un cineasta esperto come Hallstrom ALLUNGARE IL BRODO in maniera così spudorata? Ma alla fine cosa resta allo spettatore? Qualche lacrima che ben pochi riuscirebbero a trattenere di fronte a ripetuti primi piani di uno splendido esemplare di cane. Ma dopo aver deglutito e dopo aver asciugato quelle lacrime, si esce dalla sala insoddisfatti. Strano, perchè dopo la visione di un film così "buono" e commovente ci si dovrebbe sentire "migliori" o almeno "sereni e leggeri". E invece percepiamo che c'è qualcosa che non quadra. E ci incamminIamo verso casa con l'ombra di un sospetto che ci insegue: che si stia facendo strada in noi la consapevolezza di essere stati ricattati? Probabile.
Voto: 5

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