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L'uomo che verrà

Regia di Giorgio Diritti vedi scheda film

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La recensione su L'uomo che verrà

di cheftony
8 stelle

I tedeschi hanno le armi e sparano contro il nemico, che non so chi è. Ho sentito dire che fanno la guerra agli Alleati, ma io non li ho mai visti. E poi ci sono i ribelli, che gli fanno la guerra perché dicono che se ne devono andare. Anche i ribelli hanno le armi! Molti parlano la nostra lingua e sono vestiti come noi.”

 

 

Monte Sole, Appennino bolognese, dicembre 1943: in un ampio casolare ha luogo l'ordinaria vita di una numerosa famiglia di contadini all'epoca dell'occupazione da parte delle truppe della Wehrmacht nazista.

Il capofamiglia Armando (Claudio Casadio) si spezza la schiena nei campi e tenta con generosità di opporsi alle angherie dei tedeschi, ospitando una coppia di signori di Bologna e dando rifugio ai partigiani garibaldini della zona. Ma l'orrore sembra ancora distante nell'ambiente rurale, anche grazie alla nuova gravidanza di sua moglie Lena (Maya Sansa) e al commovente senso di coesione, incarnato dalla tenerezza della cognata Beniamina (Alba Rohrwacher).

Proprio nei giorni successivi alla nascita del bambino di Lena e Armando, nel settembre del '44, la tensione si fa insostenibile fra incursioni a sorpresa dei nazisti e rappresaglie partigiane, fino a culminare nell'orribile rastrellamento di Marzabotto. Martina (Greta Zuccheri Montanari), l'altra figlia di 8 anni della coppia, muta per sua volontà in seguito ad un trauma, osserva silenziosa e innocente tutte le assurdità e le contraddizioni...

 

Ecco una cosa che ho capito: che molti vogliono ammazzare qualcun altro, ma io non capisco perché.”

 

 

Giorgio Diritti firma a 50 anni quello che è solo il suo secondo lungometraggio (dopo l'incredibile successo underground, ottenuto solo due anni dopo la sua ultimazione, del pregevole esordio “Il vento fa il suo giro”, stampato in sole tre copie), ma è la prova della maturità registica e narrativa.

Se in fase di regia Diritti è un vero portento, in particolar modo nella scelta di inquadrature potenti e suggestive, in “L'uomo che verrà” sorprendono proprio la fluidità e lo sguardo con cui approccia ancora una volta una materia delicata, che invece nel film d'esordio gli sfuggiva un paio di volte di mano. Corre il rischio di esser banale e retorico impostando il tutto sul punto di vista di una bambina, ma ne esce alla grande con uno stile aderente al vero, fedelmente ricostruttivo dei dettagli storici e di costume, vicino agli umili e dunque stile che si accosta facilmente a Ermanno Olmi; fra l'altro, proprio come quest'ultimo, Diritti si occupa anche del montaggio dei suoi film, che costituisce una parte importante del suo “suggerire” a piccoli bocconi.

Per la riproduzione fedele e verista della realtà rurale bolognese, Diritti si serve ancora in maniera massiccia del dialetto (così come per l'occitano in “Il vento fa il suo giro”), ma il suo sguardo registico rispettoso e sensibile si manifesta ovviamente in forma superiore: la macchina da presa e la colonna sonora sono al contempo dure e clementi quando si consuma il disgustoso rastrellamento di donne, anziani e bambini, senza indulgere e senza puntare il dito; l'osceno è avvenuto realmente e il film serve a farlo rivivere in modo scarno, diretto, partecipativo sì ma dall'alto, dal cielo plumbeo di quei giorni autunnali che non dà speranze.

Ottimi gli attori (e stavolta ci sono anche dei bei professionisti, ma è bravissima anche la piccola Greta Zuccheri Montanari), nobili gli intenti: quello di Giorgio Diritti è forse un cinema derivativo, d'accordo, però l'adesione sincera e antropologica alla Storia e l'impatto emotivo sono due garanzie non di poco conto che offre. Non sarà una giovane promessa, ma ad averne...

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