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Il rifugio

Regia di François Ozon vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il rifugio

di ed wood
5 stelle

Delude Ozon in uno dei suoi film meno umoristici e più "lineari". Niente contaminazioni, niente ironia, niente mash-up di umori, generi, riferimenti. Questa volta spazio al dolore, al male di vivere, declinato nelle varie incarnazioni della tossicodipendenza, di una gravidanza non voluta, di un lutto da elaborare, di attrazioni difficili da decifrare. Il film arranca in una staffetta di situazioni e e tematiche che paiono non avere una interconnessione poetica, rimanendo quindi mere suggestioni ingabbiate in uno stato larvale. C'è il calvario eroinomane in apertura, con tanto di momento candidamente estatico; c'è l'arroganza di una ipocrita matrona borghese che pretende di imporre la propria volontà su di una povera tossica incinta; dopodichè parte una lunga deriva che non porta da nessuna parte, un naufragare verso un caos morale ed esistenziale in cui si inserisce prepotentemente la figura di un omosessuale. Intorno, tutta una serie di figurine sbiadite, senza una autentica ragione narrativa nè forza espressiva: dal playboy maturo da cui la protagonista si fa rimorchiare solo per essere coccolata alla bagnante pazzoide che elogia la sofferenza, fino al fattorino gay. Ozon ricicla certe ambientazioni e situazioni di altri suoi film, ben più riusciti: dall'ambientazione paesana di "Swimming Pool" alle serate in discoteca di "CinquePerDue", ma non si fa mancare prestiti d'autore, spesso dal glossario bergmaniano, come il pianto isterico della donna col volto che domina l'inquadratura e lo sguardo finale in macchina (come una novella "Monica e il desiderio"). Il fulcro del film ondeggia dalla protagonista all'enigmatico fratello del suo ex deceduto, fino anche al fantasma di quest'ultimo: Ozon fa spesso un cinema spiazzante, spericolato, che fa saltare le logiche drammaturgiche e i codici etici tradizionali, ma questa volta perde proprio la bussola. Il classico caso di "lack of focus", come dicono i britannici. Forse il francese avrebbe voluto fare un cinema di umori e sentimenti, anzichè di pensieri. Il problema è che la psicologia emerge, sia pur confusa e contraddittoria, da ogni gesto dei personaggi. Del tutto assente, o comunque abbandonata a se stessa, è quella stratificazione testuale e semantica che rende godibili ed avvincenti, nel loro mix invidiabile di leggerezza e complessità, le altre opere del regista. E allora non rimane che aggrapparsi alla pura forza delle immagini, ma anche queste purtroppo non incidono, insistendo senza nerbo sulla classica figura ozoniana della mdp che accarezza corpi desidera(n)ti. Anche la musica, suonata al pianoforte, resta uno dei tanti spunti non adeguatamente sviluppati. Infine, il comparto attoriale non brilla particolarmente e contribuisce a consegnare il film ad una mediocrità davvero inconsueta per Ozon.

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