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Io sono l'amore

Regia di Luca Guadagnino vedi scheda film

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La recensione su Io sono l'amore

di LorCio
8 stelle

Candidato al Golden Globe come miglior film straniero: una bella soddisfazione per un film dalla gestazione lunga e complicata. Complimenti. Vale la pena quindi tornarne a parlare a qualche mese di distanza dalla sua uscita nelle sale, perché resto fortemente dell’idea che Io sono l’amore sia uno dei film più importanti dell’Italia dei primi duemila, per una ragione molto semplice: è l’ultimo dei classici che ha capito che la necessità del genere classico sta nel suo rinnovarsi sempre. Assurge a modelli due grandi classici del cinema internazionale come Luchino Visconti e Michelangelo Antonioni, battendo sulle stesse strade che hanno percorso i due registi: da una parte la rappresentazione della decadenza del ceto borghese, che in Italia non ha fatto altro che sostituirsi all’aristocrazia scomparsa dal fascismo in poi, non riuscendo mai ad essere una borghesia vera e propria (il conte Visconti ha ragionato a lungo sulla questione partendo dalla nobiltà scapigliata di Senso e finendo alla volgarità borghese di Gruppo di famiglia, con cui il film di Guadagnino ha più di un debito); dall’altra c’è la cronaca di uno stato d’animo che si riflette in una storia, tematica principe del primo Antonioni (in particolare Cronaca di un amore), che si inserisce nelle pieghe della noia borghese celando (ma non troppo) la feroce antiborghesia che l’alimenta (ma non è il tema fondamentale in questo mèlo turgido e al contempo freddo, trascinante e pure straniante).

 

Con una sceneggiatura in cui ha messo mano anche Barbara Alberti, Luca Guadagnino mette in scena la disgregazione delle certezze borghesi che si scontrano con l’irrimediabile estemporaneità del fato tutt’altro che improvviso, architettando magnificamente un film di decomposizione umana ed ambientale in cui i luoghi hanno lo stesso valore dei personaggi (non a caso in tre scene compaiono a caratteri cubitali i nomi delle città in cui si svolge la vicenda – la decadenza estenuante e sublime di una Milano gelida ed invernale si oppone alla solarità umida e rigogliosa di Sanremo). Dalla parte di lei, senza assolverla, il film racconta la destrutturazione dell’anima in trappola, costretta dalle convenzioni, dalle luci evocative, dai colori dilaganti sia nella freddezza che nel calore, dai suoni assoluti. In un cast per niente scontato, in cui meritano una menzione l’inedito Pippo Delbono e il maestoso Gabriele Ferzetti (Antonioni!) che compare nel primo quarto d’ora lasciando il segno per tutto il resto della storia, regna magnifica sacerdotessa della rigenerazione Tilda Swinton che ha dato anima e corpo alla sua eroina romantica. Eh già, perché Io sono l’amore è un film puramente, maledettamente, gelidamente romantico.

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