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Un maledetto imbroglio

Regia di Pietro Germi vedi scheda film

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La recensione su Un maledetto imbroglio

di Peppe Comune
8 stelle

Il commissario della squadra mobile di Roma Ciccio Ingravallo (Pietro Germi) indaga su un furto di oggetti d'arte avvenuto in casa del commendator Anzeloni (Ildebrando Santafe). Qualche giorno dopo, nello stesso palazzo ma in un diverso appartamento, viene rinvenuto il cadavere della signora Liliana Banducci (Eleonora Rossi Drago). I due fatti criminosi sono legati o forse no, certo è che al dottor Ingravallo la coincidenza appare alquanto strana. Vengono interrogati Assuntina (Claudia Cardinale), la "servetta" dei Banducci, il fidanzato Diomede (Nino Castelnuovo), un elettricista che si scopre aver fatto dei lavori in casa della vittima, il cugino di Liliana, il "dottor" Valderana (Franco Fabrizi), e il marito Remo Banducci (Claudio Gora), i quali hanno avuto entrambi una relazione con Virginia (Cristina Gaioni), l'ex cameriera di casa. Accompagnano Ingravallo nell'indagine il maresciallo Saro (Saro Urzì) e il brigadiere Oreste (Silla Bettini).

 

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Un maledetto im broglio - Pietro Germi e Saro Urzì

 

"Un maledetto imbroglio" di Pietro Germi è una rivisitazione in chiave cinematografica di "Quer pasticciaccio brutto di via merulana" di Carlo Emilio Gadda, ormai considerato uno dei grandi romanzi del novecento europeo. Il film ne accentua la connotazione poliziesca (prevedendo peraltro un finale risolutivo quando nel libro questo è tenuto volutamente in sospeso per sottolineare ulteriomente il carattere transitorio di ogni indagine particolare) ma ne depura, per esigenze evidentemente cinematografiche, sia la matrice filosofica che sostanzia lo spirito del romanzo, che la complessità linguistica derivante dall'uso di diverse inflessioni dialettali e dalle licenze idiomatiche in puro stile gaddiano. Ne esce fuori un opera di una solidità invidiabile, tale che rimane a tutt'oggi uno dei migliori risultati di genere prodotti dal cinema italiano, oltre a rappresentare una sorta di apripista ideale per la stagione prossima a venire della "commedia all'italiana" per l'attegiamento oscillante tra il serio e il faceto con cui si indaga nel suo insieme composito la società italiana. A mio avviso, l'intuizione più felice avuta da Pietro Germi, quella che più di ogni altra fa aderire il film allo spirito del romanzo, è l'aver mantenuto la fondamentale connotazione antropologica dell'opera scritta, che se nel romanzo si esprime innanzitutto attraverso l'intreccio continuo di diversi idiomi (soprattutto dell'Italia centromeridionale a cominciare col molisano Ciccio Ingravallo) e nel passaggio repentino da un dialetto impuro a un italiano aulico e forbito, qui si evidenzia nella varia umanità che di volta in volta passa in rassegna davanti allo sguardo indagatore del commissario. Ognuno di loro fornisce delle notizie e fa mostra della propria personalità, cose che possono aiutare o intralciare le indagini, portarle per percorsi lontani o accorciare la strada affidandosi alle umane sensazioni di partenza. Tutto dipente dal dove si vuole puntare maggiormente l'attenzione e sul come si intende proseguire la ricerca. Perchè a ogni nuovo incontro escono fuori altri elementi che rendono plausibile la commissione di un delitto, perchè "è come in campagna quando muovi un sasso e sotto ci trovi i vermi" e non si sa mai di preciso qual'è il bandolo della matassa che bisogna esattamente seguire per venire a capo di quel più importante garbuglio che è diventata la vita. Ecco, la cosa migliore del film risiede nell'azzeccatissima caratterizzazione di ogni personaggio, dalle cui gesta si evince la furbizia, la pavidità, il doppiogiochismo, l'opportunismo, la volgarità, la fede fascista, l'infedeltà, il vittimismo, l'indolenza, la superstizione, ovvero, i vizi e i vezzi che percorrono una nazione intera, che vengono analizzati senza che l'adeguata componente psicologica prevalga su quell'ironia popolare da commedia dell'arte ( appunto di Gadda stiamo parlando). Incantevole la Cardinale nei panni dell'ingenua "servetta" dei ricchi, perfidamente ambigui Franco Fabrizi e Claudio Gora in ruoli per loro assai congeniali, letteralmente straordinario Salvo Urzì (secondo me uno dei migliori caratteristi di sempre che, per inciso, significa fare e dire molto in poco spazio) e perfetto Pietro Germi nelle vesti del sagace "commissario del popolo" Ciccio Ingravallo. Bello il finale sulle note di "Sinnò me moro" di Rustichelli cantata dalla figlia Alida Chelli. Quando il cinema italiano sapeva essere veramente grande con questi film che, senza essere dei capolavori, erano capaci di proiettare una chiara sensazione di bellezza.

 

 

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