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Invictus. L'invincibile

Regia di Clint Eastwood vedi scheda film

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La recensione su Invictus. L'invincibile

di mc 5
10 stelle

Questa volta è davvero dura affrontare la "chiave" giusta per una recensione, perchè i fattori in ballo sono davvero tanti. Abbiamo un regista di cui è opinione corrente che si tratti del cineasta vivente migliore del mondo; abbiamo un film che ha incassato presso la critica un plebiscito di ovazioni; abbiamo un pubblico che per la quasi totalità sta accogliendo la pellicola con entusiasmo, pur con qualche rarissima eccezione -peraltro piuttosto isolata- che in rete si dice delusa dal "Maestro". E poi, in un angolino, ci sono io, che sono imbarazzato di fronte ad un'opera che mi ha conquistato e travolto, pur lasciandomi più d'un dubbio. Il problema è che non riesco a capire se si tratti di perplessità oggettive o se sono io che non possiedo gli strumenti per decifrare certi aspetti del film. Fin dalle prime inquadrature hai la percezione di trovarti di fronte a qualcosa di "alto", qualcosa di gran classe. Ma anche, nel contempo, a qualcosa di troppo classico, di troppo (che brutta parola) "ordinario". Lo stile di Clint è di solito, sì, classico, ma con robuste virate verso qualcosa di "nervoso", che finisce con lo scuoterti e farti riflettere. Nel nostro caso, invece, l'impressione è quella di un film un pò troppo prevedibile nel suo percorso, troppo regolare, troppo "inquadrabile" sin dai primi istanti, troppo tranquillo e privo di autentici sussulti. Voglio fin d'ora scusarmi se in questo mio scritto saranno rintracciabili possibili contraddizioni, che rispecchiano in pieno l'opinione incerta che mi son fatto di quest'opera. Capolavoro? Sì, capolavoro senz'altro, come negli ultimi anni Clint ci ha abituato, ma capolavoro di tipo assai diverso rispetto a quelli che lo hanno preceduto. In ogni caso la mia ammirazione nei confronti di Eastwood è ancora talmente intatta che è con estremo disagio che accolgo i toni dell'opinione minoritaria di coloro che vanno parlando di un "Eastwood minore". Ma scherziamo? Qui c'è tutta la consueta zampata del vecchio leone che ruggisce più possente che mai. Dunque non permetto che si parli di una "regìa minore" ma, caso mai, di un "Altro Eastwood", rispetto a quello quasi provocatorio e "tempestoso" delle sue opere immediatamente precedenti. Ma d'altra parte Eastwood nella sua lunga vita è stato tante cose, e molto diverse. Questo è un ragionamento che mi piace riproporre ogni volta che sono alle prese con un suo nuovo prodotto. Clint per me è come se avesse vissuto varie vite ed altrettante volte fosse risorto reincarnandosi in qualcos'altro. Quel ragazzo con la barba incolta, cappellone da cowboy e sigaro pendente dalle labbra, poncho sulle spalle, che cavalcava nel deserto con la colt sempre al suo fianco...Quel poliziotto giustiziere e ripara-torti che dell'acciuffare i delinquenti aveva fatto l'ossessione della sua vita, e che non andava tanto per il sottile quanto a metodi per indagare e a durezza nel punire...Quel regista/attore in età matura che mostrava una vena dolente e malinconica raccontandoci ed interpretando storie meravigliose improntate a profondissima umanità e in cui egli indagava con umiltà ed umana pietà sui casi dolorosi che possono attraversare i destini degli uomini... Ecco, ditemi, come possono questi tre Eastwood così differenti configurarsi in una sola persona? La risposta non è semplice. Clint si è rivelato, evidentemente come cineasta, ma io reputo anche a livello di umana consapevolezza, attraverso gli anni sempre più sensibile ad un'attitudine a CRESCERE, a guardarsi DENTRO e a guardarsi INTORNO, per fortificarsi e soprattutto per MIGLIORARSI. Migliorare sè stesso e la propria Arte. Ed è così che quel cowboy rude e un pò "caprone", ha saputo regalarci alcuni film tra i migliori del mondo (incredibile ma vero). E allora perchè stupirsi se adesso il vecchio Clint ha voluto fare una (nemmeno poi tanto sconvolgente) ennesima correzione di rotta, cimentandosi con un film che ben pochi di noi si aspettavano dal "Maestro". Il "problemuccio" sta eventualmente nel fatto se questo "genere" di cinema è nelle corde di ciascuno di noi. Sinceramente trovo che, sotto molti aspetti che non sto qui ad enunciare, film come "Million Dollar Baby", "Mystic River" o "Gran Torino" siano di parecchie spanne superiori e più interessanti, ma mi vergogno perfino ad  esternarlo, perchè nel momento stesso in cui faccio questa riflessione so di sbagliare, di muovermi male: posto che Clint è un "Maestro" assoluto, forse non è lecito fare confronti fra i suoi capolavori, sono capolavori e basta. (Ecco, che vi avevo detto? lo sapevo che sarebbero emerse contraddizioni e confusioni...). E adesso (dopo aver fatto un bel respiro!) mi preparo a prendere di petto un aspetto del film che -sulla carta- presta il fianco forse più di ogni altro a critiche e sospetti. Parliamoci molto chiaro. Qual'è la primissima cosa che balza evidente anche ad un bambino fin dalle prime inquadrature? La "Santificazione" di un uomo. Non vergognamoci nemmeno, a questo punto, di usare i due termini più "infamanti": SANTINO e AGIOGRAFIA. Vedete, io sto operando in questo momento su di me una specie di "psicodramma", un rito che mi LIBERI dal dubbio, un esorcismo che mi LIBERI dal demonio del pensiero malevolo e cinico. Il problema è: come conciliare lo stile nervoso, inquieto, mai pacificato di Eastwood con la messa in scena di un uomo che parla solo per pillole di saggezza, che pare quasi abbia sopra il capo un'aureola, un uomo che quando parla alla sua gente pare impartisca benedizioni, e da cui ti aspetti che improvvisamente compia un miracolo. Fra l'altro se pensiamo a cosa possa sortire da un mix di buonismo e politically correct (ecco le altre due paroline "infamanti" che i detrattori evocano) con l'aggiunta dello sfondo sportivo, beh, tutto ciò potrebbe contribuire a far materializzare un fantasma, quello di Ken Loach...Queste ultime -lo confesso- sono state le mie prime riflessioni durante la visione del film, che mi hanno in un primo tempo prostrato e avvilito. Come potete intuire, ho in realtà visto il film due volte e, qui viene il bello, dopo una seconda visione quella mia originaria frustrazione ha subìto un ribaltamento a 360 gradi. Il mio problema è che un malevolo pregiudizio critico mi aveva impedito di allargare i miei orizzonti. Ragioniamo un attimo sulle cose e sui fatti. Dunque Clint ci mostra un Mandela saggio, paterno, buono. Ma lo sapete che vita è stata, concretamente, la sua? Fuor da ogni deriva buonista, la sua è stata davvero la vita di un eroe, di un martire, di un Apostolo della Libertà! Un uomo che è stato per 30 anni chiuso in una piccola cella per le sue idee, come lo vogliamo chiamare? E un uomo che, una volta uscito da quel luogo di infelicità e di pena, e diventato Presidente della sua nazione, anzichè vendicarsi e "punire" i suoi aguzzini politici, mette al primo posto un progetto per ridare grandezza e unità al suo Paese? E allora, di fronte a una simile personalità -e persona- che atteggiamento avrebbe dovuto assumere Eastwood? Forse fare le pulci a suoi eventuali difetti e umane debolezze? No, di fronte a tale immensa statura morale la sola cosa da fare era rendergli tributo restituendocene la grandezza e il rigore. E poi, sempre su questo punto, concedetemi una riflessione personale della quale vanto l'originalità, dato che nessuno ha pensato finora di immaginare il singolare accostamento che vado ad introdurre. Vedete, ci sono politici e statisti (si contano sulle dita di una mano) che resteranno per sempre inchiodati al Libro della Storia come persone meravigliosamente INTEGRE, la cui statura morale è INATTACCABILE, persone (chissenefrega della retorica) davvero "senza macchia" (e qui adesso non mi fate gli spiritosi affermando che è l'esatto opposto del nostro attuale Presidente del Consiglio, eh eh). Ebbene, in questo senso, il primo nome che -forte e chiaro- mi risuona nella mente è quello dell'indimenticabile carissimo SANDRO PERTINI, e subito dopo, appunto, quello di NELSON MANDELA. La domanda è: se si facesse un film sulla vita di PERTINI, si potrebbe darne una visione critica, o dubbia, o venata di perplessità? NO!! Ci sono persone (poche, ripeto) riferendo delle quali non si può che documentarne ed amplificarne le qualità e i meriti. Allora: è chiaro il concetto che quel supposto "santino" che Clint ha fatto di Mandela è non solo accettabile ma anche plausibile ed opportuno? Chiuso il capitolo "buonismo agiografico", veniamo a note (almeno per quanto mi riguarda) più dolenti. Devo sommessamente confessare l'esistenza di un problema di base fra me e questo film, ed è uno di quelli che non si possono rimuovere. Quel problema si chiama RUGBY. Ma anche più genericamente SPORT. Chi mi frequenta o mi conosce sa che lo sport (compreso il tifo) tra i miei interessi trova ben poco spazio. A dire il vero, amo molto seguire alla televisione gli unici due sport verso i quali provo interesse: il ciclismo e l'atletica leggera, ma al di là di questo...zero. E allora potete capire il mio imbarazzo di fronte ad un film che consta (nella sua seconda parte) di infinite riprese di scene di gioco del Rugby, sport del quale peraltro non so assolutamente nulla. Certo, ho tentato di appassionarmi a quelle sequenze cercando di collocarle nel contesto di una sceneggiatura appassionante, ma con scarsi risultati. E su questo punto va da sè che Eastwood non ha alcun demerito o responsabilità. Anzi: chi ne capisce di queste cose, giura che -nel campo delle riprese cinematografiche di eventi sportivi- Clint ha realizzato un lavoro eccezionale. Qui ad essere in difetto sono solo io che, dato il mio antico disinteresse verso lo sport, mi vedo privato del godimento di uno degli aspetti preponderanti della pellicola. Pazienza. Anche se...ad onor del vero, ho letto qualche critica, proveniente da fonti non sospette (cioè non da ignoranti di sport come quel caprone del sottoscritto), secondo cui la sequenza finale della partita è oggettivamente tirata troppo per le lunghe. Da sottolineare la vera e propria ossessione di  Mandela nascosta dietro tanto interesse per il rugby; la chiave sta tutta in una frase che lui pronuncia in auto: "Questo Paese ha fame di grandezza!" In quella frase c'è tutta la parabola politica di un uomo la cui unica ragione di vita era fare od organizzare qualunque cosa avesse dato lustro agli occhi del mondo intero al "suo" SudAfrica. Un SudAfrica ancora percorso da fremiti d'odio tra due storiche fazioni che lui cercò di domare e contenere con l'obbiettivo di unire tutta la popolazione nel nome del tifo sportivo. E infine vorrei segnalare il cammino "in progress" del giovane capitano di squadra Francois, con riferimento al suo atteggiamento mentale. Prima lui è un borghese medio-alto, probabilmente qualunquista, e di famiglia benestante. Quando Mandela lo invita per un thè e una breve conversazione, questo suo qualunquismo riceve una prima incrinatura. Quando poi tocca con mano, vedendo coi suoi occhi il carcere dove Mandela fu rinchiuso per 30 anni, ne è traumatizzato e prende coscienza della realtà in cui ha finora vissuto, fino a quel momento ignorata con leggerezza. E per concludere senza sprecare troppe parole per un capolavoro talmente bello che si commenta da sè, vorrei dedicare un abbraccio ideale ad un personaggio del film che è decisamente minore, ma che mi ha ispirato un sentimento affettuoso: la domestica sudafricana di colore, che mi ha quasi commosso nella sua dignità, semplicità, serenità. E, per inciso, si tratta della stessa dignità dei contadini montanari del film di Giorgio Diritti ("L'uomo che verrà"), l'umiltà di coloro che la Storia e la Politica sono destinati sempre e soltanto a subirle.
Voto: 10

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