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District 9

Regia di Neill Blomkamp vedi scheda film

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La recensione su District 9

di Daskabinett
4 stelle

Se esistesse l’oscar dedicato alla “miglior idea meglio sprecata”, questa pellicola dovrebbe aggiudicarselo senza difficoltà. Che peccato. Avere l’idea di una storia del genere e mandare tutto in vacca. C’erano i presupposti per uno dei più grandi film di fantascienza del presente e del futuro, SUL presente e SUL futuro, sulla storia di tutti i razzismi, le persecuzioni, le ghettizzazioni, dalle riserve indiane all’apartheid sudafricano, dai ghetti ebrei ai Centri di Permanenza per immigrati di casa nostra. Il film comincia in effetti benissimo, stile Zelig di Allen, narrando a mo’ di documentario che raccoglie le testimonianze di giornalisti , sociologi e gente comune l’arrivo di questa astronave sulla Terra, venti anni or sono, che si ferma immobile sopra il cielo di Johannesburg. Ma già qualcosa non torna perché questa parte viene tirata troppo per le lunghe e risulta forzata sia nel cercare il realismo a tutti costi (i dettagli delle interviste, specie quelli della madre del protagonista); sia nell’uso della camera a mano (non si capisce perché quando si vuole simulare un documentario l’operatore sembri sempre ubriaco, l’immagine balla peggio che in un filmino delle vacanze ). Ma va be’. Quando gli umani irrompono nell’astronave (e qui un minimo di suspense non avrebbe guastato, ma forse il regista è cresciuto a playstation anziché a pane e Alien) si trovano di fronte a una colonia di esseri impauriti e denutriti che vengono immediatamente rinchiusi in una baraccopoli recintata e sorvegliata. Ora, molti avranno immaginato gli innumerevoli spunti che un’idea grandiosa come questa avrebbe potuto portare: infiniti momenti su cui soffermarsi, immagini, piccole storie, citazioni cinematografiche e non, paralleli con la storia passata e presente.. Quando poi l’umano protagonista subisce una mutazione genetica che lo porta a trasformarsi da carnefice a simile degli alieni sia nel corpo che nella condizione di perseguitato, tutto un altro filone d’oro di richiami si apre, dalla Metamorfosi kafkiana a La Mosca e a tutte le sue riflessioni sul corpo di Cronenberg, per citarne solo due; insomma sarebbero disponibili altre possibilità di discorsi sulla diversità, altre chance per costruire un film fondamentale… E invece… La pellicola scivola piano piano in uno sparatutto insulso condito da qualche momento politicamente corretto che pare maldestramente buttato li, a caso, per dovere, senza la necessaria sensibilità ed empatia..
Il regista non solo continua a utilizzare la camera a mano per l’intera durata del film, comprese le scene più concitate, con la conseguenza che qualsiasi particolare va bellamente a farsi fottere (e nella fantascienza i particolari hanno la loro importanza, da quando è nata e non solo al cinema), ma fa un uso continuo ed estremo anche del primo piano dei personaggi e queste due scelte tecniche insieme risultano nauseanti.
 
Gli alieni vengono sempre “visti da lontano”; ad eccezione parziale del co-protagonista alieno e di suo figlio. Il regista li tratta in maniera simile a come li trattano gli umani nel film: sono tenuti a distanza, non entrano nel vivo di una storia della quale sono vittime anzichè protagonisti. Lampante in questo senso è una delle scene finali: un gruppo di alieni piomba sul cattivo (umano) di turno e anziché dimostrarsi anche “moralmente” superiori all’uomo, lo pigliano, lo uccidono - e questo ci  sta – lo smembrano… e  poi cominciano a mangiarselo come bestie!.. e qualsiasi possibilità di identificazione, di empatia dello spettatore verso l’ ”altro” va a farsi benedire. Sotto questo aspetto, un film come Enemy Mine - Il mio nemico, girato più di vent’anni fa e che non rappresenta certo un capolavoro, ha  molto da insegnare.
Insomma è il regista stesso il primo a ghettizzare gli alieni del suo film.

Su Neill Blomkamp

Dirige con la sensibilità di un boscaiolo una materia che avrebbe richiesto la sensibilità di un giardiniere.

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