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A Serious Man

Regia di Ethan Coen, Joel Coen vedi scheda film

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Paul Hackett

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La recensione su A Serious Man

di Paul Hackett
6 stelle

Larry Gopnik, professore universitario di fisica di religione ebraica, è un brav'uomo la cui vita, abitudinaria e all'insegna di un'aurea e rassicurante mediocritas, improvvisamente viene stravolta da una serie di piccoli ma devastanti cataclismi familiari e umani. Il tentativo di capire cosa gli stia accadendo, rivolgendosi alla saggezza di tre diversi rabbini, riuscirà solo ad accrescere la sua confusione. Giunti al loro quattordicesimo lungometraggio (come passa il tempo! Ricordo ancora quando vidi "Blood Simple", nel 1985 o giù di lì), il pendolo degl'imprevedibili fratelli Coen, sempre sospeso tra generi spesso diversissimi tra loro, torna ad oscillare verso le atmosfere complesse, cupe, cerebrali (e qualche volta incomprensibili) che già erano state la sostanza di "Barton Fink", sopravvalutatissima Palma d'Oro a Cannes nel 1991, o del celebrato e ben più apprezzabile "L'uomo che non c'era", di dieci anni più tardi. "A serious man" è un'amarissima tragicommedia che mette in scena lo smarrimento di un piccolo uomo di fronte all'imponderabilità del caso e dei destini umani e la sua ricerca di una risposta che, significativamente, nessun rabbino o uomo di fede riesce a fornire. Come dei sardonici burattinai, i Coen agitano la loro umanissima marionetta, tenera e disperata come solo un uomo buono segnato da una sorte avversa può essere, attraverso una implacabile serie di sventure e sfighe che, al di là del grottesco del quale sono intessute e dell'amaro riso che spesso inducono, danno a ciascuno di noi la raggelante sensazione di rifletterci in uno specchio, costringendoci a prendere coscienza della nostra sconvolgente fragilità di fronte al fato. "A serious man" non è un film facile: è un'opera profondamente intrisa di ebraismo e, come tale, non sempre comprensibile per noi "gentili", inoltre è lentissima e spesso terribilmente noiosa (la prima parte è davvero micidiale: confesso candidamente di essermi addormentato dal minuto 31 al minuto 37... sarò mica narcolettico?), una pellicola pesantissima, che disorienta e lascia perplessi ma che, lentissimamente, intriga, scuote e sicuramente non lascia indifferenti. Cast significativamente composto da volti sconosciuti (a parte forse, in ruoli secondari, i comunque non molto noti Richard Kind e George Wyner), evidentemente allo scopo di mettere in scena facce che non "vampirizzassero" il film, ma che, al contrario, rappresentassero persone comunissime. Il protagonista Michael Stuhlbarg, alla grande occasione della sua vita, immagino sia stato "consigliato" ai Coen dal vecchio amico Tim Blake Nelson (il Delmar di "Fratello dove sei?"), per la regia del quale Stuhlbarg aveva recitato in "La zona grigia" del 2001. Bella la fotografia del fido Roger Deakins (tra i tanti film del suo curriculum "Fargo" e "Il Grande Lebowski"), nei toni caldi e pastosi caratteristici delle pellicole anni '60-'70, a colorare beffardamente in toni pastello i disastri esistenziali del povero Larry. Questa volta i Coen hanno scelto di servirci una pietanza davvero indigesta: con quasi vent'anni di cinema alle spalle, un paio di capolavori (per quanto mi riguarda "Arizona Jr" e "il Grande Lebowski") e almeno cinque o sei "grandi" film, i fratelloni possono tranquillamente permetterselo, soprattutto perché hanno la capacità di non sclerotizzarsi in un genere, cambiando totalmente, di volta in volta, atmosfere e tematiche. In definitiva "A serious man" è una pellicola la cui profondità è direttamente proporzionale alla sua pesantezza... for fans only, astenersi il resto del mondo... tre stelle.

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