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A Serious Man

Regia di Ethan Coen, Joel Coen vedi scheda film

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La recensione su A Serious Man

di mc 5
10 stelle

Te ne esci dalla sala con scolpita nella memoria (e ci resterà per un bel pezzo) quella faccia impagabile di un uomo allarmato, preoccupato, bastonato, una sorta di eroe della Suprema Sfortuna che galleggia annaspando nelle acque procellose di un mare impazzito. Un "Coen minore"? Ma non diciamo eresie. Questo è il loro ennesimo capolavoro, e aggiungerei uno dei migliori. Certo, solo uno stupido potrebbe non rilevare l'enorme differenza tra "Burn after reading" e questo lavoro, su ogni piano, dallo stile ai personaggi, dalla recitazione al tipo di comicità. Quest'ultima là genialmente diretta, qua come rattrappita, contorta, carica di nevrosi e di Enigma. Ma questo è un dettaglio che rende i due fratelli ancora più immensi; del resto, se diamo un'occhiata alla loro filmografia, a parte che sono tutti gioielli di film, vi troviamo una varietà di generi e temi che fa impressione. Ma prima di entrare nel merito, vorrei esternare una mia sensazione che però si basa su precisi indizi. Io ho come una percezione che questo progetto sia stato portato avanti nell'incertezza e nel timore. Non certo da parte dei due fratellini, ma diciamo da parte del business del cinema. Evidentemente c'era uno spettro che aleggiava, quello di un possibile flop (pericolo tuttavia non ancora scongiurato). Immagino che i produttori abbiano avuto più d'una perplessità leggendo un copione così poco ruffiano, poco popolare, sotto molti aspetti ostico e antipatico. Non sono addentro a queste faccende, ma suppongo che, nonostante il forte potere contrattuale di due Maestri conclamati del cinema contemporaneo, quando si tratta di sborsare milioni di dollari per un loro nuovo film, chi a questo è preposto, ci pensa due o tre volte se legge una sceneggiatura così.. (come la vogliamo chiamare?)...da "èlite cinefila". Dunque un film difficile? Beh, direi un film sottile, sofisticato, forse intellettuale ed ostico, insomma NON un film da multisala. E qua mi collego ad una realtà vista con i miei occhi in cui non posso non individuare un indizio sconcertante. In almeno tre multisale che sono solito frequentare "A serious man" era previsto in programmazione da mesi, come ampiamente annunciato da cartelloni posti in bella evidenza; una settimana prima della data d'uscita del film tutto il materiale pubblicitario è misteriosamente sparito, e con esso il film. Morale della favola: la pellicola è uscita lo scorso weekend in poche sale, stranamente tutte piuttosto "decentrate", quasi in sordina. E badate che stiamo parlando non di un regista al suo debutto o di registi da cineteca parrocchiale, ma di Gente che in passato ha riempito le sale e fatto man bassa di prestigiosi premi. E allora come spiegare tutta questa specie di fuggi fuggi all'improvviso? In un solo ed unico modo: la psicosi di un flop per una pellicola che si annunciava anticommerciale come poche altre. Se posso esprimermi in termini volgarissimi: molti esercenti si son cagati addosso. Tranquilli, signori esercenti, che adesso arriva Pieraccioni con la sua minchiata natalizia e ci pensa lui a ripianare i conti!! E qui mi fermo, perchè sento che sto per infervorarmi. Ma mi viene da fare un'altra considerazione. Prima dei due Maestri, era uscita (pochissimi giorni prima) un'altra pellicola di un Maestro immenso del cinema contemporaneo, quel "Segreti di famiglia" di Francis Ford Coppola che, nel suo meraviglioso bianco e nero, ha esaltato la quasi totalità dei critici (il pubblico un pò meno). Ebbene, non ho problemi ad affermare che quest'ultima opera mi ha fortemente deluso, al punto che non sono nemmeno riuscito a trovare la chiave giusta per recensirla e me ne sono astenuto. Ho detto questo perchè, sulla scia di quella non felice esperienza, pur essendo fan devoto dei Coen, nutrivo in cuor mio qualche timore. Ebbene, non solo le paure sono svanite, ma la visione del film ha rafforzato esponenzialmente il mio culto per i Coen. Qualcuno ha rilevato, in questa pellicola poi con particolare evidenza, un qualche legame col genere di umorismo di un altro grande Maestro, ovviamente riferito alla comune matrice umoristica che affonda nella cultura ebraica, ed è altrettanto ovvio che il richiamo è a Woody Allen. Carattere che accomuna i tre cineasti è infatti la stupenda attitudine a rivoltare come un calzino queste loro radici, con particolare riferimento alle ossessioni religiose. In questo film poi, come mai era accaduto prima, i suddetti riferimenti finiscono per riempire letteralmente tutta la durata della visione, addirittura disseminando ogni dialogo di termini ebraici pronunciati in lingua originale, ed alcuni di questi nemmeno vengono tradotti nel doppiaggio, giusto per rafforzare il concetto. Ma tanto non serve una traduzione, perchè in questa meravigliosa parabola di una specie di Fantozzi americano tutto è chiarissimo, tutto al suo posto e tutto funzionale a raccontare un uomo a pezzi che vede intorno a sè crollare il mondo a pezzi, dal suo corpo minacciato da un male oscuro che pare far capolino poco prima dei titoli di coda ad un tornado incombente che annuncia rovina e distruzione. Ma tornando al concetto di cultura popolare ebraica, concetto che -lo ripeto- è dominante e sovrasta tutta l'opera, chiedo di poter formulare una considerazione, sempre tenendo presente l'istintività del mio approccio da totale ignorante sul tema. Io mi sono fatto un'idea, non so se giusta o sbagliata. Cioè che gli ebrei siano in genere persone molto più praticanti in fatto di Fede, e molto più obbedienti e puntigliosi rispetti ai dettami sia formali che sostanziali che essa comporta. Al punto che per loro diventa una specie di ossessione. Ben diversamente da noi europei cattolici che, a parte gli osservanti stretti (che reputo comunque in forte calo), vivono la loro appartenenza alla religione cattolica come un qualcosa da "subire" più che da "vivere" e "portare avanti", nel senso che molti di noi sono cattolici non per convinzione e per scelta, ma perchè da piccoli ci battezzano e poi ci fanno frequentare il catechismo e da adulti, quando ci capita, andiamo a Messa (e spero di non aver offeso nessun praticante con le mie parole). Ora, detto questo, mi sembra straordinaria l'attitudine, da parte di alcuni intellettuali ebrei -meravigliosamente ed orgogliosamente LAICI- a sbeffeggiare, a rivoltare come un calzino, a dileggiare, a fare il verso...tutto questo con un unico bersaglio: l'ossessione dei riti, dei simboli e delle abitudini culturali legati alla Fede ebraica. Esiste dunque tutto uno stile umoristico legato a questa cultura e Woody Allen e i Coen ne sono gli alfieri e i maestri. Addirittura i Coen utilizzano un "intro" al film proprio per annunciarne il contenuto culturale di riferimento, e lo fanno mostrandoci un curioso episodio (brevissimo ma indimenticabile) di strettissimo e rigoroso richiamo alle classiche leggende popolari degli ebrei. Trovo che il risultato di questa chiave umoristica, anche volendo concentrare lo sguardo su questo film, sia assolutamente irresistibile. Si tratta di un umorismo non grasso, non epidermico, ma insinuante, quasi urticante nel suo nervoso "grattare" con le unghie sul vetro della tradizione culturale che questi personaggi applicano ossessivamente ai loro gesti quotidiani. Si avverte qualche volta, nella contemplazione sbilenca di certe derive di vita grottesche, un occhio cinico e impietoso, ma -questo volevo esprimere- è ben altra cosa (l'opposto, direi!) rispetto al cinismo volgare (benchè attraversato da bagliori di un romanticismo posticcio) del viscido Judd Apatow. Il sarcasmo di quest'ultimo è mera finzione di chi si mette al soldo della potenza del business hollywoodiano, il sarcasmo dei Coen è Arte e Genio creativo. A proposito poi del criticare la cultura religiosa ebraica, ne è splendido paradigma il protagonista del film, uomo medio-mediocre che si vede crollargli il mondo addosso ma -questo è il punto- sbatte la testa contro un'evidenza che prima non avrebbe mai osato immaginare. Cioè che tutta la gente osservante che lo circonda (moglie, amante della moglie, colleghi d'ufficio, l'avvocato e soprattutto gli incredibili rabbini) sono in realtà dei balordi, che sembrano ligi e devoti, e che dietro la pomposità e la presunta autorevolezza di quei rabbini c'è solo pura cialtroneria spacciata per somma saggezza derivante da chissà quali sedicenti mandati divini. Ed è bello vedere questo "ometto" reagire con piccole, minime, esplosioni di trasgressione quali l'accettare una bustarella oppure sognare sconvolgenti amplessi con una vicina di casa tardona e un pò troia. Un'ultima considerazione sul cinema dei Coen. Le loro scelte culturali (in questo film soprattutto, ma anche in molti altri della loro ormai vasta filmografia) sono lì a testimoniare una cosa che nessuno può negare: cioè che il box office non è sicuramente al primo posto tra le loro preoccupazioni. Un cenno al curatore della colonna sonora, quel mago di Carter Burwell, peraltro ancora sugli schermi con la stupenda soundtrack di "Nel paese delle creature selvagge". E per concludere, spiace sia rimasto poco spazio per affrontare un tema a suo modo rilevante: il rapporto dei Coen con la cultura rock'n'roll. In questo film ne scorgiamo tracce evidenti. Quando vediamo un curioso e grottesco dentista che s'improvvisa detective (una storia dentro la storia, deliziosa e straniante), per tutta la breve durata della sequenza, i Coen ci propongono (quasi come contrasto) uno di quei blues che ti strappano il cuore, una "Machine gun" da brivido lungo la schiena, by Jimi Hendrix. E che dire dei Jefferson Airplane? A parte la scelta dei Coen di far assurgere a biglietto da visita del film uno dei loro pezzi più affascinanti ("Somebody to love"), a conclusione della pellicola c'è una piccola curiosa sorpresa che coinvolge il leggendario gruppo di San Francisco. Cosa possono infatti mai avere a che fare i gloriosi psichedelici "Airplane" con un vecchissimo rabbino di provincia??? La risposta a questo e a molto altro nell'ultimo capolavoro firmato Coen brothers. 
Voto: 10

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