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Shutter Island

Regia di Martin Scorsese vedi scheda film

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Raffaele92

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Shutter Island

di Raffaele92
7 stelle

Ormai è chiaro: il pubblico odierno, nonostante si riversi in massa a vedere tanto i film di Michael Bay quanto le insulse commedie made in Italy, ha legato il concetto di spettacolo cinematografico a quello di un’attività cerebrale quanto più intensa possibile (perché altrimenti spopolerebbero Christopher Nolan e i suoi “film a incastro”?).

Per tale motivo “Shutter Island” è diventato – a suo modo – un cult movie.

Il merito va soprattutto a uno Scorsese che, cimentatosi per la prima volta nell’horror (nonostante non si possa parlare di film dell’orrore vero e proprio) dimostra una smisurata capacità (ma chi ancora aveva dubbi su queste sue doti?) di inchiodare lo spettatore alla poltrona in un’escalation narrativa tesa, inesorabile, coinvolgente e accattivante come solo pochissimi altri esemplari nel nuovo millennio. Sta tutto qui il valore del film, nel non lasciare tregua, nel caricarsi di enigmi, nel provocare nei confronti di chi guarda quella curiosità che ci rende quanto mai impazienti di sapere cosa accadrà di lì a cinque minuti. In tal modo la lunga durata di “Shutter Island” passa con un soffio; due ore e un quarto che convergono tutte verso il tanto atteso svelamento finale. Proprio qui invece crolla questo mastodontico castello gotico messo in piedi da uno dei più grandi autori viventi. Crolla perché la tanto agognata soluzione di tale mistero si scopre banale e insignificante.

Concludere un film del genere con la trovata di un poco credibile sdoppiamento di personalità è improponibile, nonché una probabile ragione dell’incapacità di trovare una conclusione al tutto in fase di sceneggiatura. Un finale che, oltre a sembrare piazzato in fretta e furia, al contrario di quanto molti pensino non cela affatto alcuna riflessione sul possibile rapporto tra pazzia e sanità mentale, né sulle possibili false apparenze con le quali ci troviamo prima o poi a fare i conti. Più in generale, tale epilogo non spalanca le porte di nessuna considerazione psicologico-introspettiva, scorta invece ingenuamente da tanti spettatori.

Non vi è nulla di male nell’intrattenimento fine a sé stesso, e questo tantomeno se esso – in virtù della forte adesione agli schemi del Noir che vi è in questa pellicola – si dimostra quanto mai colto ed erudito. Ma il finale (quel momento bramato, quell’attimo determinante, quel risvolto decisivo che spesso, volentieri e giustamente è al contempo parametro di giudizio e mera necessità insita nel concetto di racconto) ha la sua importanza.

Certe opere sono come delle bilance: vanno pesati pregi e difetti, senonché nel cinema l’equilibrio è deleterio; è necessario che la bilancia penda dalla parte dei primi. E nel film in analisi, questo per fortuna avviene.

Nonostante quindi l’epilogo-scivolone, promuovo comunque “Shutter Island”, che al di là delle proprie imperfezioni rimane un thriller cupo, tetro, avvincente e attraversato da momenti di cinema alti e impennate oniriche sorprendenti.

Probabilmente è tutta colpa di Scorsese e della sua carriera cinematografica fatta di capolavori passati e futuri, al confronto dei quali il bagliore di quest’opera risulta ancora più smorzato.

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