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Thirst

Regia di Chan-wook Park vedi scheda film

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La recensione su Thirst

di maurizio73
6 stelle

Prete cattolico e stimato confessore della sua comunità, Sang-hyun (Song Kang-ho) decide di partire, contro il volere dei suoi superiori, per una missione africana dove si sottopone alla sperimentazione di un vaccino contro un virus letale che affligge quelle popolazioni. Sopravvissuto ad una devastante infezione, ritorna in patria ed inizia a sviluppare una misteriore sindrome fisiologica che lo trasforma gradualmente in una creatura viziosa e sanguinaria. Coinvolto in una torbida storia d'amore con la moglie di un suo vecchio amico d'infanzia, anche i suoi inamovibili principi morali iniziano lentamente ma inesorabilmente a vacillare e sgretolarsi. Finale tragico.

 

 

Il più prolifico cantore delle contraddizioni e delle debolezze dell'umana natura in terra di Corea (Mr. Vendetta - Oldboy - Lady Vendetta) ritorna ai suoi temi più cari dopo la parentesi horror di 'Three... Extremes' e del cyber-punk intimista e poetico di ' I'm a Cyborg, But That's OK', contaminando con il radicalismo formale della sua narrazione le tematiche più usuali del repertorio e della poetica vampiresca con l'apparato drammaturgico di un classico del naturalismo francese come la 'Teresa Raquin' di Emile Zolà. Il risultato è un dramma fluviale (147 minuti nella versione originale) che riesce a contenere la rutilante complessità e prolissità del cinema coerano entro lo schema di una narrazione tutto sommato abbastanza lineare (la discesa agli inferi senza ritorno di un'allegoria cristologica andata a male) e dove la spiazzante alternaza di registro a cui il nostro ci ha da sempre abituato ci fa passare con indolente semplicità dal tragico al comico, dall'horror al dramma sentimentale fino alla crudele parabola di un ineluttabile nichilismo.

 

 

Un pò troppa carne al fuoco diranno giustamente alcuni e se non fosse per la capacità di un talento come quello di Park Chan-wook di tenere saldamente il bandolo della matassa ed imbrigliare l'involontaria comicità di una materia tanto controversa entro la cornice di una poetica tutto sommato coerente e convincente, ci sarebbe di che farsi quattro grasse risate. Al contrario, la messa alla berlina dei principi di una morale repressiva come quella cattolica e della strisciante ipocrisia che la sottende (le pulsioni autodistruttive del sacerdote per il quale "Suicidarsi è come morire da martiri per Satana" si manifestano nella sua vocazione al sacrificio ed all'auto-flagellazione) si traducono nella metafora di una malattia quale agente di corruzione fisica e spirituale, nella concessione di una volontà che abdica, più che alle debolezze del corpo (la 'virulenza' del potere vampiresco, la gratificazioni compulsive del sesso, la meschinità degli egoismi umani), alle irrefrenabili pulsioni di uno strisciante ateismo, fino al tragico finale di corpi che si dissovono alle prime luci del giorno nascente.

 

 

 

 

Un apparato melodrammatico insomma, perfettamente funzionale alla enunciazione di una tesi che stava già nello spirito del romanzo di Zolà e nello stesso tempo ben supportato dalle pirotecniche evoluzioni di una regia che non sa risparmiarsi quasi nulla (straordinario il piano sequenza che, nel finale, attraversa il corridoio fino alla testimone impotente di una tragica e disperata comunione di sangue), consapevole dei propri mezzi e capace di moltiplicare all'infinito le variabili combinatorie della cornice scenografica.

Protagonisti di sicuro talento, tra la perversa innocenza di una conturbante e sadica Kim Ok-bin ed il dolente nichilismo di un uomo debole e combattuto che ha la maschera sgomenta e impenetrabile di un attore feticcio come Song Kang-ho. Premio della giuria al 62º Festival di Cannes 2009.

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