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Enter the Void

Regia di Gaspar Noé vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Enter the Void

di myHusky
7 stelle

"Basically, when you die your spirit leaves your body, actually at first you can see all your life, like reflected in a magic mirror. Then you start floating like a ghost, you can see anything happening around you, you can hear everything but you can't communicate. Then you see lights, lights of all different colours, these lights are the doors that pull you into other planes of existence, but most people actually like this world so much, that they don't want to be taken away, so the whole thing turns into a bad trip, and the only way out is to get reincarnated."

 

La psichedelia cinematografica del nuovo millenio prende forma tra le strade di Tokyo.

Enter the Void è uno sguardo sospeso a mezz'aria, un trip allucinogeno dai mille colori. L'occhio è ferito, annebbiato, intossicato dall'immagine. È costretto ad esplorare innumerevoli vuoti e a sperimentare l'esperienza post-mortem

Il folle viaggio di Gaspar Noé si allontana lentamente dal mondo e, dall'alto, comincia ad osserva l'uomo e la sua vita. È un occhio esterno, una soggettiva dell'anima. È una nuova presa di posizione.

Fuori dal mondo, dentro al cinema.

 

 

"I tried to get very close to an altered state of consciousness. Or, I tried to, in a cinematic way, reproduce the perception of someone who is on drugs. And there are moments in the movie closer to a dream state, and through that, many people have told that they felt stoned during the movie, and felt they had done, like, an acid trip."

(Gaspar Noé)

 

Enter the Void, nonostante la sua natura, non rinuncia al racconto. La sua è una struttura solida, lineare, che tiene conto dei personaggi e dei numerosi avvenimenti: "80-percent of Enter the Void is a traditional narrative movie. I suppose it's more similar to Jacob's Ladder or Videodrome than it is to Inauguration of the Pleasure Dome by Kenneth Anger, which is very experimental. It's the other 10% of 20% that reminds you of the language and glamour of dreams".

Il viaggio di Noé ruota attorno ad un episodio preciso, fondamentale per lo svolgimento della pellicola. La morte di Oscar, protagonista assieme alla sorella Linda, rappresenta infatti il punto di snodo, di non ritorno. Lo sguardo muta la sua forma e, allontanandosi dalla vita, ha la possibilità di osservare il mondo dall'esterno, da un nuovo punto di vista. Attraverso la soggettiva, la mdp invisibile del cineasta argentino si sposta rapidamente tra le case e le vie di una Toyko luminosa e affollata: è l'esperienza post-mortem, in prima persona, di Oscar. 

Seguendo quasi alla lettera il Libro tibetano dei morti, il racconto procede piuttosto linearmente: prima il flashback sulla vita del protagonista (una visione sdoppiata, data la soggettiva che però non impedisce ad Oscar di vedere se stesso girato di spalle) e poi la ricerca di una nuova nascita, di un corpo dal quale poter prendere forma, ancora una volta. Ma non possiamo semplicemente basarci sulla vicenda: Noé guarda oltre.

Visioni, ricordi dal passato, ellissi spaziali (e temporali), tutto in Enter the Void è stato pensato per dar vita ad un percorso universale che, attraverso lo sguardo del cinema, potesse guardare alla complessità della vita umana. Una complessità che si scompone, che manda fuori pista, che illude lo spettatore: "It's not the story of someone who dies, flies and is reincarnated, it's the story of someone who is stoned when he gets shot and who has an intonation of his own dream." Non è quindi casuale l'uso della soggettiva: siamo noi stessi che, assieme ad Oscar, osserviamo il mondo da fuori, sperimentandone la ciclicità e le sue infinite possibilità di riproporsi (proprio come il racconto cinematografico).

Ed è proprio attraverso l'aspetto universalizzante che la pellicola prova a nascondere le sue (inevitabili) carenze. Infatti, se da un lato l'operazione di Gaspar Noé funziona e stupisce proprio grazie alla sua potenza visiva e alla sua volontà di ricondursi alla totalità della vita umana (e della potenza dello sguardo), dall'altro finisce quasi (sottolineare il quasi) per appiattirsi alla predicibilità e alla meccanica semplicità del racconto (nonostante alcuni interrogativi). La tanto sbandierata libertà, oppressa dagli schemi della narrazione, rischia di mostrarsi falsa, illusoria. Ed è quindi una fortuna che Noé sia riuscito a nascondere buona parte delle debolezze, restituendoci così una pellicola comunque notevole.

Pericolo quasi (e sottolineo il quasi) scampato.

 

 

"Everything dealing with actors has been shot on Super 16. And then, for example, all the shots flying from one apartment to another one through the ceiling, all those ceilings were recreated digitally out of photos. You take photos of the street and then photos of the apartment, and you recreate in 3-D the structure; you stick the photos to the 3-D structure, and then you decide what’s going to be the camera movement, the speed."

(Gaspar Noé)

 

Enter the Void è un'opera visivamente potente. Tutto, dalla scelta dell'inquadratura all'uso delle luci, è stato pensato per restituire allo spettatore un'esperienza unica e irripetibile.

A partire dalla "soggettiva dell'anima" (lo sguardo onnipresente di Oscar), la pellicola si immerge rapidamente in un mondo contorto e frenetico, fatto di colori, di vorticosi movimenti di macchina e di trip digitali. La stessa città di Toyko si trasforma in un enorme parco giochi all'aperto, dove potersi perdere: "Tokyo's like a huge pinball machine. The first time you're there, and you don't understand what's going on, it's like "ding ding ding ding ding" everywhere. The lights are changing, the neon lights are moving." 

Tra una sequenza e l'altra Noé mostra (compiaciuto) tutte le sue abilità e, attraverso una mdp costantemente in movimento, si sposta di appartemento in appartamento: è il grando occhio del cinema, capace di vedere tutti indistintamente e senza limiti. Come non citare, a questo proposito, la parte finale al Love Hotel, dove lo sguardo travolgente del cineasta argentino si fonde tra i neon sfavillanti delle camere dove vengono consumati numerosi rapporti sessuali. Ed è proprio attraverso quest'ultimo cortocircuito visivo (mi riferisco, in particolare, all'ultimissima sequenza) che il regista semina i suoi interrogativi. Chi stiamo guardando ora? È una nuova nascita o un ricordo del passato? Le riposte non danno alcuna certezza: "at the end, when you see the baby coming out from the mother's belly, you don't see the face of [the central character's] sister, you see the face of the mother, so you don't know if you're seeing his original birth. He's recreating a false memory of that traumatic moment that was his birth when he discovered light and oxygen. Or is he just getting into a loop, and your perception of time is only likened to how your brain is built."

Al di là di quest'ultima "trovata", Enter the Void segue (come già detto) una percorso abbastanza lineare, ed è un peccato, da questo punto di vista, che certe soluzioni assai prevedibili e meccaniche (personaggi secondari in primis) finiscano per arginare la potenza fluviale della pellicola.

Niente può l'intensità visiva e lo straniamento dello sguardo: il (vero) grande salto è ancora lontano.

 

 

Enter the Void si chiude con un'ultimo sguardo sfocato sul nuovo mondo: l'illusione è finita e l'uomo può finalmente rinascere. 

Gaspar Noé conclude così il suo lungometraggio; non un capolavoro, non un'opera memorabile, ma comunque un film capace di suscitare meraviglia, di ipnotizzare e drogare l'occhio dello spettatore, per poterlo portare, successivamente, a riflettere sulla complessità della vita. 

In fondo, è proprio questo ciò di cui il cinema ha bisogno oggi.

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