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I mercenari. The Expendables

Regia di Sylvester Stallone vedi scheda film

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La recensione su I mercenari. The Expendables

di Immorale
5 stelle

Il primo capitolo delle avventure di questi soldati “sacrificabili” sancisce la rinascita del neo (o post) muscolarismo degli anni 10, erede di quello storico degli anni 80/90. Mentore assoluto del progetto (oltre che protagonista principale ne è anche regista e co-sceneggiatore) quello che, in qualunque modo si valuti il genere, può esserne considerato il personaggio cardine, cioè Sylvester Stallone, impegnato già da qualche anno in una rinascita artistica contro il tempo che passa, aiutato (?) da uno stuolo, si suppone nutrito, di personal trainer e chirurghi plastici.

 

Con risultati disarmanti, tale è l’effetto nostalgia provocato dal totale zero psicologico dei personaggi, dalla rozzezza della trama e dei dialoghi per chi ha amato (o subìto) i lavori “giovanili” (parimenti sgangherati) di tutti gli interpreti coinvolti nell’allegra rimpatriata. Spacconate e battutacce da bar intervallano l’azione del film, quindi, quasi senza soluzione di continuità, cercando l’effetto brillante ma restando spesso nel mezzo del guado di una scrittura realmente debole e traballante, intrappolata nella ricerca costante di una resa stentorea di ogni scambio, sia esso di parole, proiettili o pugni.

 

 

Un manifesto programmatico assolutorio ed orgogliosamente ribadito anche dalle ripetute prese in giro nei confronti del piccolo e scattante Jet Li da parte della congrega di “manzi” ipervitaminici suoi colleghi di ventura. O dalle continue ostentazioni falliche di pistoloni, mitragliatori o coltellacci, questi ultimi talmente grossi da far impallidire il capostipite cinematografico di tali armi: il pugnale multiuso del primo “Rambo”, A.D. 1982, sogno di molti adolescenti dell’epoca.

 

 

Un piacevole pastrocchio che nulla aggiunge (se non per l’innalzamento dei decibel delle onnipresenti esplosioni) ad un genere nato in epoca reaganiana ed oggi agonizzante, così come veniva inteso all’epoca, ma sempre in agguato ad ogni cambio di stagione politica globale, pronto a diffondere la sbrigativa ed ideologica idea di film d’azione americana. Un lavoro, in definitiva, girato con buona professionalità ma ridicolo in parecchi sviluppi e con interpreti insufficienti (particolarmente goffo lo scespiriano [!] Generale Garca tratteggiato da un imbarazzato David Zayas), svagati (il cattivone Eric Roberts) o standardizzati (tutti gli altri). Se un complimento può essere fatto al film, cosa che ne innalza il valore, è la palese sincerità (voluta o meno) nel non nascondere le imperfezioni, naturali o estetiche, sia del protagonista che di altri interpreti (impressionante l’insistito primo piano del volto “tumefatto” di Mickey Rourke), con un malinconico effetto grottesco, difficilmente accantonabile, prodotto nel benevolo spettatore alla visione degli innumerevoli solchi scavati dal tempo sulle fattezze dei propri eroi giovanili.         

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