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The Limits of Control

Regia di Jim Jarmusch vedi scheda film

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La recensione su The Limits of Control

di maurizio73
6 stelle

Taciturno ed enigmatico killer di colore, dedito alla meditazione yoga ed affiliato ad una misteriosa organizzazione eversiva internazionale, viene incaricato di eseguire l'omicidio su commissione di un importante personaggio barricato all'interno di uno sperduto e superprotetto bunker nella campagna andalusa.
Il suo percorso di avvicinamento alla meta è scandito dalle numerose tappe e dagli enigmatici indizi disseminati lungo il tortuoso viaggio che dovrà affrontare in lungo ed in largo per la penisola iberica e che lo porteranno a conoscere esattamente il luogo, il giorno e l'obiettivo della sua missione. Il tutto senza conoscere una parola di spagnolo, senza l'uso di armi da fuoco o telefoni cellulari e soprattutto resistendo alla tentazione di una invitante profferta sessuale.

 

 

Notoriamente appassionato alle arti visive ed al surrealismo, l'ormai sessantenne Jim Jaramush ci potrebbe stupire con gli effetti speciali di un virtuosismo registico che si affidi ad abili movimenti di macchina e straniate distorsioni della soggetiva. A quanto pare, e per certi versi meritoriamente, decide di non farlo ed affidarsi, in questa ennesima e personale variante di un genere cinematografico inflazionato dalla tautologia dell'immaginario tarantiniano, al linguaggio criptico ed alla facile metafora del viaggio iniziatico che da sempre costituiscono la cifra riconoscibile della sua poetica autoriale. Assecondando i codici di una finzione cinematografica che faccia proprio l'esplicito assunto enunciato all'inizio del film ('La vita non vale niente', 'L'universo non ha centro nè confini.Tutto è arbitrario', 'Non elaborare. Usa solo la tua immaginazione', bla,bla,bla...), Jaramusch mette in scena una sorta di parodia melvilliana di un microcosmo noir in cui sembrano ignoti tanto il movente omicidiario quanto i suoi assurdi protagonisti, vittime e carnefici di una lotta senza quartiere per il potere in un mondo dominato dal nichilismo e dall'ossessione per il controllo, cercando di neutralizzarne l'eccesso (bunker superprotetti in località remote ed isolate, sofisticati sistemi di sorveglianza e guardie armate fino ai denti) con il suo opposto: l'arbitrario dominio dell'immaginazione e dell'intuizione di un killer 'olistico' armato di un sobrio completo cobalto ed una corda di chitarra tesa ('Come cazzo hai fatto ad entrare?','Ho usato la mia immaginazione'). Non fosse per il ritmo lento, il registro sospeso e le trovate eccentriche saremmo molto ben disposti a credere che l'autore abbia concesso agli ignari spettatori il beneficio del dubbio che le meditazioni yoga, il linguaggio cifrato dell'arte figurativa, il 'coitus interruptus' di fronte alle invitanti profferte di una arrapante Maya desnuda ed i ridicoli rituali di espressi in doppia tazza e pacchetti di cerini passati di mano siano solo gli espedienti di un'abile dissimulazione metafilmica in cui si ricapitolano, con divertita civetteria, i fondamentali del genere che la Swinton sembra voler suggerire (da Hitchcock a Welles, da Wenders a De Palma) e non già le pretenziose esibizioni di un compiacimento autoriale un pò fine a se stesso.

Bravo e imperturbabile Isaach De Bankolé che si fa tutto il film spiccicando solo poche parole (mai in spagnolo, per carità!) e dismettendo nel finale la divisa di una fantomatica internazionale marxista per rimettersi nei panni dimessi di un invisibile immigrato liberiano passato di lì per caso. L'omicidio al tempo della filosofia Sufi.

 

 

 

 

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