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M, il mostro di Düsseldorf

Regia di Fritz Lang vedi scheda film

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Raffaele92

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su M, il mostro di Düsseldorf

di Raffaele92
10 stelle

Il capolavoro di Fritz Lang comincia con un’ombra (la prima “apparizione” di Peter Lorre), quindi prosegue con un’assenza, la rappresentazione della quale è una magistrale lezione di cinema: l’inquadratura sulla spirale della scala vuota, sull’orologio (il tempo che scorre inesorabile), sullo sguardo della madre (preoccupazione prima, angoscia poi, disperazione infine), quindi sul piatto e sulla sedia vuoti. A questa assenza segue una morte, quella della bambina, magnificamente mostrata attraverso un pallone che cade rotolando fuori da un cespuglio, quindi da un palloncino che rimane impigliato tra i fili del telegrafo. Non sono passati neppure dieci minuti dall’inizio, e la Storia del Cinema è già segnata.

Il film narra di un assassino (Hans Beckert) che si aggira indisturbato per la città di Düsseldorf.  Prima di proseguire oltre, la rappresentazione di questa città merita una parentesi: è qui infatti che emergono i tratti dell’espressionismo, corrente dominante del decennio precedente, ma che nei primi anni ‘30 lascia ancora la propria impronta nel cinema, e non solo in quello tedesco. Essa viene infatti rappresentata da ombre profonde squarciate da tratti violenti di luce, e ciò che ne esce è lo specchio deformato dell’anima dell’assassino.

Proseguendo oltre, notiamo come l’accusa del regista sia rivolta a una polizia considerata inefficiente e negligente, totalmente incapace di catturare i colpevoli o di organizzarsi a tal scopo. Poiché l'allarme generale e la mobilitazione della polizia disturbano le attività dei ladri e dei barboni della città, questi decidono di organizzarsi a modo loro, rivelandosi di fatto più efficienti della polizia stessa.

È curioso notare come le “riunioni” di questi criminali per spartirsi i compiti assomiglino a (rimandino a) veri e propri convegni di guerra: la rigidità organizzativa, le immense nuvole di fumo che sorvolano le tavolate volte a riflettere (sottolineare) la ponderosità della situazione in atto, la diligenza con la quale ogni individuo viene assegnato a una zona precisa, ecc.

Tutto il film è poi realizzato attraverso uno stile fortemente documentaristico e scarno, quasi glaciale, dove la colonna sonora è persino assente. E qui arriviamo a uno dei nodi cruciali della pellicola, poiché paradossalmente all’assenza di una qualsiasi traccia musicale che enfatizzi anche gli eventi e le situazioni più estremi, Lang compie un lavoro sperimentale, audace e rivoluzionario inerente proprio al sonoro.

Siamo nel 1931: il sonoro è ufficialmente comparso quattro anni prima, ma i film muti realizzati fino ai primi anni ‘30 erano ancora molti. Se il sonoro era visto da alcuni come fonte di progresso, molti altri lo consideravano un elemento dannoso a livello narrativo e realizzativo.

Nel film in questione, l’assassino viene identificato poiché udito fischiare da un cieco (si badi bene, non dalla polizia, non dall’organizzazione criminale, ma da un cieco); arriva quindi ad essere catturato poiché un inseguitore, origliando attraverso la porta dietro la quale Hans è nascosto, lo sente battere un’asticella di ferro che gli possa permettere di aprire la serratura e quindi fuggire. Quindi, ancora una volta, grazie a un suono. Attraverso questi espedienti, Lang ha compiuto il miracolo di elevare il sonoro a fondamentale e determinante elemento narrativo, ed è quindi con “M” che questo ha fatto il suo vero e proprio ingresso nel cinema.

Il colpo di genio finale (in un film dove i colpi di genio sbocciano a ripetizione) è l’idea del tribunale della malavita, simbolo (audacissimo e provocatorio per l’epoca) della relatività della giustizia, tema che tornerà in molti altri film di Lang.

Da annotare poi l’interpretazione di Peter Lorre, il cui monologo finale è da consegnare alla Storia del Cinema: volto da bambino, innocente quanto infantile, capace di racchiudere nelle proprie espressioni un’angoscia esistenziale e un tormento dell’anima profondi, che esploderanno poi nella “confessione” dell’epilogo.

Curioso in ultimis il finale aperto, dove non viene spiegato se Hans (catturato dalla polizia e quindi sottratto alle mani dei criminali) sarà portato in manicomio o condannato a morte.

Un’opera epocale.

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