Espandi menu
cerca
La Contessa

Regia di Julie Delpy vedi scheda film

Recensioni

L'autore

Marcello del Campo

Marcello del Campo

Iscritto dall'8 marzo 2011 Vai al suo profilo
  • Seguaci 106
  • Post 32
  • Recensioni 207
  • Playlist 30
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su La Contessa

di Marcello del Campo
5 stelle

 

 

Elizabeth Báthory (al secolo, Alžbeta Bátoriová-Nádašdy o, accorciato, Erzsébet Báthory), la Contessa Sanguinaria, è iscritta nella mitologia (letteraria, psichiatrica, saffica e così criminalizzando) per avere fatto fuori, a occhio e croce, circa seicento fanciulle per nutrirsi del loro sangue, passarselo sul viso, sulle labbra come rossetto, bagnarcisi dentro (anticipazione di una cosmesi costosa che finora, per fortuna, non ha avuto successo – ma, con i tempi che corrono, non si sa mai!) per ringiovanire il suo corpo che cominciava a dare segni di zampe di gallina.

locandina

La Contessa (2009): locandina

La Contessa non era uno stinco di santo, è vero, ma nella versione iperfemminista che ci offre la Delpy, non è che la povera donna ne avesse colpa, non era nata malvagia: considerate l’ambiente in cui le è toccato vivere e nascere - circa cinque secoli fa, esattamente il 7 agosto 1560, sotto il segno del Cancro - in Ungheria (fosse nata nella Romania del Principe Vlad III, poteva essere un’attenuante).

La Signora del Sangue ha il suo (sangue) un po’ bacato, lo ha in dote nel dna, nella sua famiglia la malattia mentale è un virus, epilessia, schizofrenia sono il corredo di rapporti insani tra consanguinei, è noto poi che più nobile è il lignaggio, più le nefandezze ne aumentano il prestigio (non dimentichiamo che i suoi genitori provengono da due rami dei Báthory, e che lo zio è il re polacco Stephen Báthory, anche lui adoratore di Satana e, come altri parenti, dedito a dilettevoli riti di magia nera).

Erzsébet fin da piccola trascorre la sua infanzia nel castello di Ecsed, dove si appassiona allo spettacolo della morte, così come altri bambini alla diamonica; a sei anni assiste all’esecuzione di una condanna a morte di un turco particolarmente surreale: l’uomo viene infilato nel ventre aperto di un cavallo, fuori solo la testa, un soldato cuce il ventre del cavallo e il poveraccio va lentamente alla morte con fetore di entragne. Neppure De Sade ha farneticato di simili delizie nelle Centoventi giornate di Sodomia, un dilettante al confronto.

Ripercorrere la vita e le infamie dei Bathory porterebbe via molto tempo. Il film della Delpy è abbastanza fedele alle memorie che la Contessa ha lasciato scritte in un diario: il primo amore, un matrimonio imposto dal rango, un marito che acuisce in lei la già cospicua dotazione di crudeltà (servi torturati a morte, fanciulle nude cosparse di miele legate vicino alle arnie), l’amore per i suoi figli, tre figlie e un figlio. Insomma, madre buona ma donna satanica, indotta dalla zia a orge e magia nera che la inducono a scrivere al marito una lettera sadico-goiosa:

 

Ho appreso… una nuova deliziosa tecnica: prendi una gallina nera e la percuoti a morte con la verga bianca; ne conservi il sangue e ne spalmi un poco sul tuo nemico. Se non hai la possibilità di cospargerlo sul suo corpo, fai in modo di procurarti uno dei suoi capi di vestiario e impregnalo con il sangue.

 

Il sangue è tutto per la Contessa, il sangue estratto dalle vene di giovani donne di bell’aspetto, attraverso una complessa macchina (da lei stessa inventata) può garantirle l’eterna giovinezza.

Ha solo 25 anni quando comincia a guardarsi allo specchio, a immaginare che la pelle sia vizza, a credere che la faccia sia quella di una vecchia. Completamente pazza, comincia a uccidere: le vittime, denudate, messe in catene, capovolte con i piedi agganciati a una sbarra (animali al macello), violentate, sgozzate e infine prosciugate di tutto il sangue. Nei suoi diari verga con cura il nome delle seicentocinquanta vittime, descrivendone il martirio.

Condannata e murata viva, la Bathory ebbe il tempo di guardarsi allo specchio fino alla morte, avvenuta nel 1614.

 

Julie Delpy non ha capacità registiche e di scrittura per reggere il peso di una storia sfrontatamente orrorifica, altri registi (scrittori, musicisti, saggisti - Georges Bataille, Pierre Klossowski, Giancarlo Marmori, Mario Praz) si sono cimentati con più fortuna sull’argomento.

La Delpy deve scegliere se fare un horror-movie (sul genere new-horror-francese: Frontiers, Saint-Ange, Martyrs) o un film biografico-storico.

La regista sceglie la fiction, pone mano ai documenti scritti dalla Bathory per disattenderli, cercando, con un’operazione di lesbo-femminismo di trovare inutili espedienti per giustificare i crimini di una donna clinicamente folle.

Per attuare questa difesa oltranzista, prende a pretesto la terza persona narrante (il narratore esterno) sul modello di Barry Lyndon, ma cade nella trappola della non neutralità del narratore (voce fuori campo) poiché fa raccontare la vita della Contessa al suo primo amore, il quale, per forza dell’invaghimento mai sopito verso la terribile donna, cerca di giustificare, con argomenti puerili, i delitti della Signora del male, quando addirittura si dice incredulo che questi siano mai avvenuti:

 

“La Storia è un racconto narrato dai vincitori. Questo è ciò che resta di lei. Un racconto su una pazza omicida, un demonio assetato di sangue. Era davvero colpevole di tutti gli omicidi, o di nessuno? Non si può essere certi di nulla a questo mondo. Tutto ciò che so è che qualunque cosa fosse, di qualunque crimine si sia macchiata, l'ho amata profondamente e credo che anche lei mi abbia amato. Ma alla Storia questo non interessa, la verità è stata sigillata dietro un muro di mattoni.”

 

Questa affermazione (voce fuori campo dell’uomo che amò la Contessa) che apre e chiude il film, è anche la voce del narratore esterno, cioè a dire della stessa Delpy. Il fatto è che la Delpy bara non con la Storia (dei vincitori) ma con i documenta scritti dalla Bathory. Una lettura inaccettabile che il sito “it. lesbianas. tv” respinge, annettendo tout court la vicenda agli archivi criminali.      

Ancora più inconsueto e arrischiato è il paragone che la Delpy istituisce tra gli uomini in guerra e le donne: assassini entrambi, gli uni per mestiere, le altre costrette ad essere condannate quando uccidono seicento vergini – un’ingiustizia!

Ecco che cosa dice la Contessa dopo la condanna:

 

“Dio, mi hai abbandonata. In guerra a centinaia vengono uccisi e torturati. E sono lasciati a marcire e a sfamare gli avvoltoi. Eppure glorifichiamo i nostri guerrieri. Diamo loro corone d'alloro e onori. Eppure io non ottengo che tormenti. Non posso essere umiliata così… Magari fossi nata uomo, ne avrei uccisi a migliaia in battaglia, conquistato Paesi, bruciato streghe, sarei stata un eroe. È così. Non sei che un mito.”

 

 

Julia Delpy, innamorata del personaggio, si immedesima in esso fino ad affogare in un mare di sangue e di luoghi comuni.

Clint Eastwood, a proposito di Unforgiven, ha detto: “Constructing a mythology, while deconstructing the myth”.

Julia Delpy ha fatto il contrario.

 

La Contessa (2009): Trailer originale | sottot. franc.

 

 

 

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati