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Alice in Wonderland

Regia di Tim Burton vedi scheda film

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La recensione su Alice in Wonderland

di ROTOTOM
6 stelle

Che il mondo fantastico di Alice e l’universo gotico di Tim Burton dovessero incontrarsi era nella naturale evoluzione delle cose, il dubbio risedeva nel quando non nel se. Così era chiaro che le strade del Cappellaio Matto e di Johnny Depp si sarebbero incrociate nel Paese delle Meraviglie all’ora del tè. E che la fedele Helena Bonham Carter avrebbe prestato il testone alla regina Rossa.

Il paese delle meraviglie è il mondo dark, ritorto, spinoso e romanticamente gotico dello stile di Burton. E’ la periferia di Gotham City, la versione reale del bosco della Sposa Cadavere, il villaggio di Sleepy Hollow dal quale ci si aspetta sbucare insieme al cavaliere senza testa anche Beetlejuice di ritorno da una scorribanda all’inferno. Il tutto impastato dalle partiture vigorose di Danny Elfman, altra inconfondibile cifra stilistica dei film di Tim Burton.

E’ soprattutto una bellissima occasione mancata.

In Alice in Wonderland come nella maggioranza delle precedenti trasposizioni su schermo, vengono estrapolate idee ed episodi da entrambi i libri di Lewis Carroll, Alice nel paese delle Meraviglie e Attraverso lo Specchio per mutarli in qualcosa di inedito. Produce la Disney, che ha fissato nella memoria collettiva del pubblico l’icona di Alice nella sua realizzazione a cartoni animati del libro nel 1951. In questa versione burtoniana Alice (Mia Wasikowska) ha 19 anni e torna nel Paese delle Meraviglie nel quale era stata da bambina, fugge inseguendo i suoi sogni che prendono improvvisamente realtà dalla presenza di un coniglio col panciotto che le fa cenno che è tardi. Fugge da un matrimonio combinato e da  una società bigotta e repressiva, lei così libera diversa e sognatrice finirà per combattere al fianco della regina Bianca (Anne Hataway) per normalizzare il mondo di Wonderland oppresso dalla Regina Rossa. Se nella realtà lei è la diversa che ha la ragione delle proprie idee rispetto ad un mortifero pensiero omologato e da quelle idee trova la forza per costruirsi la propria strada nella vita, nel sottomondo in cui tutti sono bizzarri e bislacchi Alice funge da catalizzatrice e da omologazione del pensiero libero, la paladina che sconfigge il mostro e che si trova un destino già scritto, perché in ogni caso anche nel Paese delle Meraviglie dove tutti sono diversi lei è più diversa degli altri, è la più giusta che porta saggezza.

E’ la lettura tipicamente Disney, la più grande industria dell’ipocrisia politicamente corretta ad uso pedagogico del pianeta. Svuotato da qualsiasi sottotesto ambiguo, divelte tutte le  asprezze e ridotto il senso dell’impotenza di fronte ad un mondo da affrontare come passaggio dall’età puberale a quella adulta ad un banale scontro bene-male in una deriva fantasy simbolicamente sterile, il film rimane un breve saggio di ottimo mestiere, affascinane e cupo quanto basta per giustificare il Nome che porta, perfetto nei trucchi e nelle caratterizzazioni visive dei personaggi ma diretto e scritto nella più convenzionale struttura delle deleterie favole per bambini. Che si divertiranno un mondo, certo. Il film è divertente, è intrattenimento di altissimo livello ma da Tim Burton ci si aspetta di più. La malinconia dei sui personaggi compressi in una marginalità romantica, i suoi bambini ostrica, i freak, l’amore diverso, la poetica sognatrice che sconfina negli incubi, l’ironia irriverente e lo humor nero, è tutto ciò che manca a favore di bellissime figurine stilisticamente perfette ma mai nate davvero. Lewis Carroll raccontava le sue storie alla bambina figlia di un amico di famiglia, tra un insegnamento di matematica e l’altro l’amicizia con la bimba strisciò verso qualcosa di diverso, dal bosco delle meraviglie passò oltre, attraverso lo specchio. Omissioni, quelle che fanno assomigliare all’ipocrita nobiltà del film di Burton una società sempre più timorosa di confrontarsi con i fantasmi reali della parte oscura dell’uomo e che il cinema nella sua forza iconografica potrebbe sublimare in immagini di altissimo potere catartico, preferendone invece  una rappresentazione formalmente semplicistica e superficialmente assimilabile.

Il consiglio per chi volesse confrontarsi con Alice e il suo mondo fantastico è di procurarsi  Alice di Jan Svankmajer del 1988, un capolavoro che mischia umani all’animazione a passo uno dei pupazzi che danno vita alle creature di Wonderland.

La versione 3D di Alice in Wonderland aggiunge un po’ di profondità in alcune scene ma ancora una volta non aggiunge nulla nell’economia del film. Soprattutto perché non è un film girato in tecnologia 3D ma semplicemente virato in tre dimensioni nella post produzione.

Questo film è come lo Stregatto: leggero, ammaliante, si dissolve nell’aria e fa rimanere impresso il breve ricordo di un sorriso che un po’ ha divertito e un po’,  forse, ti ha preso in giro.

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